Compressione

Secondo me non è tanto quello che dice il genitore di un figlio che infila il compressore dove non dovrebbe.

Secondo me è quello che gli porge il microfono, al genitore, e gli chiede un’opinione su quella cosa lì proprio al genitore, come se ce ne fregasse qualcosa di cosa pensa il genitore, che il microfono poteva metterselo lui, in quel posto là.

Secondo me.

Qui le domande le faccio io: Intervista alla rovescia a Jori Cherubini (Mescalina, Arsenale 54, robe così)

Ho intervistato Jori Cherubini, dopo che aveva scritto una bella recensione dove trovava luci e ombre nel mio ultimo album. La recensione è all’indirizzo http://arsenale54.wordpress.com/2013/02/03/giancarlo-frigieri-togliamoci-il-pensiero/ mentre l’intervista la leggete qui sotto. Io sono quello che fa le domande, lui risponde.

D – Quand’è che hai cominciato a scrivere di musica e qual è stato il primo disco che hai recensito negativamente (e in che anno)?

R – Ho iniziato nel 2005. La colpa è stata del mio amico Luca d’Ambrosio reo di avere accettato la mia richiesta di collaborazione per la neonata Musicletter. Il primo album recensito negativamente coincide con il primo album che ho recensito: The Secret Migration dei Mercury Rev, 2005, a posteriori posso dire che l’unico suo “difetto” fu quello di essere uscito dopo l’onirico, imprescindibile All is Dream. In generale mi sembra una cosa abbastanza inutile perdere tempo con un disco che non ti piace.

La recensione che quando la leggi oggi pensi “Ho detto una cazzata”?
Saranno una mezza dozzina. Soprattutto quelle del primo periodo. A ripensarci scrivevo davvero male (non che adesso mi senta Lester Bangs). Recentemente mi è capitato con Coltivare piante grasse dei Med In Itali, buttata giù in fretta e furia per chiudere la rubrica: dopo averla riletta mi sono preso a schiaffi, troppo tardi.

D – Perché “Togliamoci il pensiero” è sconclusionata? Preparati che poi dirò io una cosa sfruttando il potere che ha avere l’ultima parola e ti farò fare la figura del fesso. Insomma, vestiti bene.
R – Di Togliamoci il Pensiero mi piace l’uso dell’armonica a bocca e la parte di testo dove canti “Moltitudini in piazza si indignano, vogliono una nuova società. Cani senza guinzaglio in cerca di un padrone che prima o poi li adotterà”. Il problema, a mio avviso, riguarda la sessione ritmica, la musica: scontata e monotona, cosa che non ti capita mai nel resto del disco. Come singolo avrei scelto Diversi dagli altri o l’altrettanto ottima La polisportiva.

D – La parte ritmica della strofa è pari pari quella di “Take me to the river” di Al Green, versione Talking Heads. Controlla il basso nella strofa. E’ proprio uguale. Ecco perché suona già sentita. Per il fatto che sia monotona, è vero. E’ un ostinato. Insomma, hai ragione tu. Dimmi invece tre versi del disco che ti hanno fatto pensare che sono proprio uno bravo.
R – Il primo verso, geniale e coraggioso, è quello che ho riportato nella recensione: “…la chiamano gente normale, che mangia biologico, che legge Repubblica e fatica a gestire la propria inutilità: davanti a ogni novità prevede catastrofi, che è razionalista e poi legge gli oroscopi, che vota convinta, che viaggia sicura, che ha piena fiducia nella magistratura, che veste di nuovo ma è sempre la stessa, che una massa critica è pur sempre una massa“; il secondo: “Perché per domare un uomo non c’è metodo migliore che farlo lavorare ogni giorno sulle nove o dieci ore” che mi ricorda la mitica Canzone della terra di Battisti. Poi “Quand’è che abbiamo barattato i nostri miti con una vita senza canditi?”. Aggiungo una quarta “Non c’è persona davvero cattiva al giovedì della polisportiva” frase che mi è rimasta in testa per una settimana e ogni volta che la sento mi trasmette allegria e voglia di prendere la tessera di questa benedetta polisportiva!

D – Un nome italiano di personaggi poveri (o indipendenti che dir si voglia) che meriterebbe di più, uno che meriterebbe quello che ha, uno che non ha niente ma meriterebbe ancora meno. Argomentando, si capisce.
R – Senz’altro Nicolas J. Ronca, il suo disco, Old Toys uscito nel 2012, è pieno di trovate incredibili, testi sagaci, arpeggi, e un’atmosfera generale che rilassa, stupisce e rimanda a epoche passate. Purtroppo è nato a Cuneo e non in California, altrimenti sarebbe acclamato come il nuovo Devendra Banhart, o una cosa del genere. Altro gruppo non (ancora) decollato a dovere sono gli IANVA. I Baustelle, sulla cresta dell’onda da più di un lustro, meritano quello che hanno. Sfruttando e migliorando le loro capacità sono riusciti a “sfondare”, e se vieni dalla provincia di Siena – dove al posto del rock esistono ramato e mietitrebbia (con il massimo rispetto verso entrambi, ci mancherebbe) – è una vera impresa. Un gruppo che non ha niente significa che non merita niente (nel 98% dei casi) o che ha troppa fretta di “arrivare” (nel 2%); ognuno ha quello che merita, anche al di fuori della musica. Un complesso che trovo sopravvalutato sono i Marta sui Tubi (a parte qualche pezzo oggettivamente riuscito, come Vecchi difetti, non mi hanno mai convinto, a partire dalla ragione sociale).

D – Hai letto quel che ho scritto sul Crowdfunding? Sei d’accordo o no?
R – Ho letto e sono d’accordo. Finirà nel dimenticatoio prima di ferragosto. Philip Roth sosteneva che “Non c’è niente che mantenga ciò che promette”, ecco, pressappoco.

D – Quand’è stata la prima volta che ti sei vergognato?
R – In prima elementare. Un momento cruciale. Coincise con la scoperta della ribellione verso la scuola. Eravamo impegnati in un lavoro di gruppo e intendevo partecipare a tutti i costi. Dovevamo tagliare un cartoncino bristol. Così impugnai saldamente le forbici per dare il mio contributo alla causa ma la maestra (di matematica) me lo impedì, prendendomele di mano, dandomi dell’incapace davanti ai compagni. Restai ammutolito. Vergogna sì, di pari passo alla scoperta dell’odio verso la matematica e la conseguente impellenza di esportare gli arti superiori alla docente in questione. A punirla ci pensò la vita: altra scoperta, la giustizia divina.

D – Se mi ridici che un mio pezzo è una b-side di Ligabue vengo lì con un bastone. Ritratta subito.
R – Non ritratto, rettifico: a me Ligabue piace. Il primo concerto che mi vide spettatore fu proprio quello del rocker di Correggio, a Siena nel 1996. In passato è stato autore di ottime canzoni (sia da esempio l’intero album Buon Compleanno Elvis) e anche il suo ultimo lavoro – Arrivederci Mostro (in versione acustica) – possiede degli spunti interessanti. Quindi, anche se ti sarà difficile, ti invito a prenderlo come un complimento, nonostante il “b-side”.

D – A me Ligabue sta simpatico, però non ci riesco ad ascoltare nulla per più di 30 secondi. E dire che andiamo anche nello stesso negozio di chitarre. Dimmi il concerto più bello che hai visto nella tua vita e quello che ti ha deluso di più.
R – Iggy & The Stooges a Budapest nel 2006. Mi aspettavo una reunion di vecchietti o poco più, invece hanno sprigionato un’energia quasi primitiva, arcaica, in grado di stordire una mandria di bufali. A deludermi di più è stato forse Vinicio Capossela all’Italia Wave di qualche anno fa, sentivo solo un gran frastuono e tanta polvere, non si capiva niente.

D – Se potessi suonerei (strumento) nei (gruppo). Riempi gli spazi.
R – Chitarra. Dream Syndicate (at Raji’s).

D – Mi spieghi cosa intendi per “Il passato di stroboscopiche (86)” che hai tirato in ballo per “L’altra”?
R – Essendo per fortuna impossibile recensire un album in maniera scientifica e rigorosa, talvolta, come in questo caso, ricorro alle suggestioni. L’impressione che ho provato ascoltando L’altra è stata appunto quella di trovarmi all’interno di una sala disco degli anni ’80. Precisamente al Club 71, unico locale del mio paese munito di mirrorball, pavimento multicolore a intermittenza e, appunto, luci strobo. E’ una sensazione dettata dall’inconscio (o dal subconscio, non ricordo la differenza, ammesso che vi sia e abbia rilevanza).

D – Dai una letta a “Cose che racconterò ai figli che non avrò di questi cazzo di anni dieci” sul mio blog e poi mi dici che cosa ho dimenticato di dire, di questo dorato mondo di morti di fame che chiamiamo “Rock indipendente”?
R – Personalmente ho fatto appena in tempo a vivere la fine di un’epopea. Quella di molti locali dispersi nelle colline della Val di Chiana. Esistevano l’Utopia e il Due Lune, splendidi poderi rustici adibiti a club underground. Non mi importava dover fare un’ora d’auto per arrivarci, in cambio ricevevo sempre bellissima musica e ottima compagnia. Al loro posto sono sorte discoteche asettiche, impermeabili alla cultura musicale e alla comunicazione. Il dilagare dei rave ha fatto il resto.

D – Al “Due lune” ci ho suonato con i Joe Leaman. Posto mitologico. Bevemmo tantissimo e finimmo giocando a ping pong alle 6 di mattina in casa del titolare. A proposito di locali, c’è un post sul mio blog chiamato “Cose che racconterò ai figli che non avrò di questi cazzo di anni dieci”. Mi dici cosa ho scordato secondo te?
R – L’accento su “iniziò”. Poi hai dimenticato di scrivere che la critica, in Italia, spesso è accondiscendente perché tutti si conoscono e si frequentano, se non nella vita reale almeno sui network. Così, pur di non farsi nemici, creare polemiche o perdere i dischi di qualche etichetta strampalata, spesso si preferisce scendere a compromessi e incensare gruppi mediocri che durano al massimo il tempo di uno Spritz. Se insisto a non ti risponderti è perché mi pare un articolo condivisibile, ben scritto, quindi esaustivo, che in buona sostanza racconta il rapporto fra voialtri strimpellatori e i gestori dei locali. Cos’hai dimenticato?

D – A dirla tutta ho dimenticato che te lo avevo già chiesto, quindi sono rincoglionito forte. Cambiamo argomento. La carognata più grande che hai fatto ad una ragazza nella tua vita è stata?
R – Certamente mi sono comportato male, soprattutto in passato, ma “carognate” credo di non averle mai fatte; o forse ho solo rimosso.

D – “Grappoli” non voleva essere una sincera ode alla bevanda nazionale, anzi ironizzava su quest’aura che si danno i vignaioli e gli intenditori di vino. Mi ha fatto specie che non si sia capito, perché non sei l’unico che ha detto la cosa. Dove ho sbagliato?
R – Ho sbagliato io. La frase “Il vino fa sangue, il vino fa bene, il vino fa cantare” mi ha tratto in inganno. Adesso che me lo fai notare, e che la sto riascoltando, mi rendo conto che non si trattava esattamente di un omaggio. Pardon.

Quanti dischi compri in un anno? Intendo dischi veri, fisici. Cd o vinili.
Più o meno una cinquantina. Non contando quelli che arrivano da recensire.

D – Mi fai una domanda tu?
R – Credi in Dio? Motiva.

(Non ci credo, in Dio. Non ci sono sufficienti elementi che me ne dimostrino l’esistenza. Peraltro ciò non vuol dire che non esista, ma in genere l’onere della prova è a carico di chi propugna la tesi. Infatti non dico che dio non esiste, semplicemente non ne ho la più pallida idea. Il fatto che io abbia una canzone nuova chiamata “Dio non c’è” non deve spaventare più di tanto. Sono anni che penso di inserirla in un disco e poi mi convinco che non è tutto questo granché.)

Qui le domande le faccio io: Intervista alla rovescia ad ENRICO TALLARINI (Osservatori Esterni)

Enrico Tallarini l’ho conosciuto all’estero. Ero a San Marino. Lui e Anita Magnani realizzarono un video reportage di un mio concerto al “Localino del Giulietti” che potete vedervi su OSSERVATORI ESTERNI, la webzine dove Enrico scrive. Poi l’ho incontrato altre volte. Mi è venuto a vedere suonare 3 o 4 volte, non ricordo esattamente. Una volta ha scritto che sono “alto e magro”. E’ la più bella cosa che abbiano mai scritto di me. Nel senso che quando nella vita sei stato un obeso, come sono stato io, vedere scrivere che sei alto e magro è una bella soddisfazione. Vado a mangiarmi una pasta alla crema, così metto su chili.

La recensione dell’album è qui: http://www.osservatoriesterni.it/novita/giancarlo-frigieri-togliamoci-il-pensiero

Eccovi l’intervista. Io domando, Enrico risponde

1. Hai parlato di “pugno nello stomaco” per definire il brano conclusivo dell’album (Criceti). Spiegami meglio.
Non “pugno”, ma “cazzotto nello stomaco”, che fa ancora più male.
“Perché per domare un uomo non c’è metodo migliore che farlo lavorare ogni giorno sulle nove o dieci ore.” Non è per pigrizia, ma c’è davvero poco da spiegare. Facciamola ascoltare a un operaio che ha passato gli ultimi quarant’anni della sua vita a fare qualcosa che non gli piace fare e vedrai che cazzotto che gli arriva. Spesso si passa il tempo a scivolare, perché le domande fanno male e spesso come risposta danno: “hai sbagliato tutto”. Ecco, “Criceti” più che la risposta è la domanda. Ma è la risposta che è la stessa.

2. Quand’è stata l’ultima volta che ti sei davvero vergognato in vita tua? Ti va di raccontarcelo? Ma non una vergogna di cinque minuti. Intendo una roba che a pensarci ti brucia ancora adesso.
Guarda, potrà sembrare strano ma è da diverso tempo che ho smesso di vergognarmi, di qualunque cosa. Cerco di esorcizzare ogni aspetto che mi riguarda, compresi handicap, problemi e debolezze, senza tabù o filtri di sorta. È una delle cose di cui vado più fiero. E poi basta guardarsi in faccia per capire che non c’è niente di cui vergognarsi, che facciamo tutti schifo allo stesso modo.

3. Parlando dopo un concerto, mi avevi detto che ti eri un poco disilluso sulla scena musicale indipendente (o come dico io, la “messinscena indipendente”). Mi dici, pane al pane e vino al vino, le tre o quattro cose più patetiche e ridicole che hai incontrato lungo il cammino dello scrivere di musica?
La più patetica, una telefonata di prima mattina per chiedermi di ammorbidire una recensione non proprio entusiastica di una band spalla a un concerto di un cantautore inglese piuttosto famoso, che era di una bruttezza tale che quasi andrebbe preservata. Hanno anche minacciato di dare fuoco alla mia macchina (la band un’altra ma il motivo lo stesso). Per il resto niente, cerco di restare fuori il più possibile dalla scena (?), anche perché da buon claustrofobico evito i circuiti chiusi . Senza una ragione precisa. Solo che odio le scene e resto indifferente alle mode. Preferisco ascoltare Paolo Conte, tanto per dirne uno, più indipendente di tutta la scena indipendente messa assieme.

4. Quanti sono gli “Osservatori esterni”?
Siamo sei, più vari collaboratori e “osservatori” occasionali. Siamo pochi ma siamo ovunque, come le malattie veneree.

5. Perché si scrive di musica? Mi dici un giornalista italiano musicale che ti ha influenzato quando hai cominciato?
Il perché non te lo so proprio dire. Forse “perché non avevo niente da fare”, tanto per citare Tenco, che le citazioni fanno sempre il loro effetto. E comunque è nato tutto per caso. Non faccio altro che ascoltare dischi e andare a concerti da quando ho quindici anni. Lo facevo prima, e lo faccio adesso, con lo stesso piacere.
Detto questo, l’unico giornalista musicale che mi viene alla mente, anche se non credo abbia avuto poi tutta ‘sta influenza, era Zombie Kid, alter ego di nonsochi che aveva una rubrichetta stronca-demo sul Rumore di una decina di anni fa.
Puniva e massacrava i demo di giovani band e mi faceva ridere. L’unico vero stroncatore di classe che abbia conosciuto, non a caso sotto falso nome.

6. Mi trovi un difetto nel mio disco? Argomentando, chiaro.
Adesso che scrivo mi trovo in Emilia. Il tuo disco è a più di trecento chilometri da qui. Ma se non ne ho trovati al tempo della recensione, non vedo perché dovrei trovarne ora.

7. Mi trovi il pregio del mio disco che non trovi in nessun altro disco? Sempre che ci sia, chiaro.
Vedi sopra.

8. Lo sai, vero, che nella recensione hai scritto “WALZER” per dire “Valzer”? E mi spieghi in che pezzo suono un valzer? (Se dici “Il nemico”, sappi che è una beguine, stavolta ti ho incastrato).
Potrei entrare subito in amministrazione e cancellare per sempre ogni traccia di questo refuso. Anzi, l’ho fatto.

9. Sull’onda della domanda precedente. Ma non pensi che per scrivere di musica un pochino di musica a livello teorico, anche solo una piccola infarinatura sia necessaria? Altrimenti a cosa si guarda? Quali sono gli elementi che ti fanno dire “Questo si, questo no”?
Allora, anche no, dipende da come la si vede e la si propone. Osservatori Esterni nasce con l’intento di staccarsi da una visione tecnicistica e assolutistica del trattare la musica, il cinema e compagnia artistica.
Siamo prima di tutto appassionati, e di conseguenza preparati. E questo sono io, uno che si guarda tre concerti a settimana e si ascolta una marea di dischi. La tecnica è fondamentale per farla, la musica. Per ascoltarla e consigliarla bastano un paio di orecchie, passione ed esperienza, soprattutto per la musica che sono solito trattare.
I tecnicismi mi hanno sempre dato il voltastomaco. Se una cosa mi piace, è sì. Altrimenti no. Non sono un critico, piuttosto un dispensatore di consigli. E la musica a livello teorico la conosco anche. Porto avanti la tradizione dell’artista mancato e frustrato e passato all’altra sponda.

10. Durante una conversazione preparatoria a questa intervista mi hai beccato le somiglianze evidenti tra “Grappoli” e “Gambadilegno a Parigi” di De Gregori e ti riconosco un grande orecchio. Fra l’altro della cosa mi accorsi anche io (Dopo averla scritta, “Grappoli”) e decisi di fregarmene, come già ti avevo raccontato. Mi ripeti il giochino con altre 3 canzoni che hai sentito quest’anno da artisti indipendenti italiani?
Occhio, che De Gregori ha già sguinzagliato i legali. A parte gli scherzi, su due piedi non mi vengono in mente altri casi sospetti.

11. Carta di identità. Nome, cognome, data e luogo di nascita, titolo di studio.
Enrico Tallarini
15/04/1983 Urbino (PU)
Laurea Magistrale in Editoria, Media e Giornalismo

12. I tre migliori locali per la musica dal vivo in Italia dove sei stato, tra quelli che non hanno bisogno di un biglietto di ingresso. Sul migliore in assoluto metti anche il motivo.
3. Il “Dalla Cira” di Pesaro,
2. Il “Neon” di Rimini
1. L’”Hana Bi” di Marina di Ravenna, versione estiva del Bronson, in assoluto il posto più incredibile dove ascoltare musica dal vivo e gratis. Sulla sabbia a due passi dal mare, in un palco alto si è no 15 centimetri, ci ho visto suonare Steve Wynn e Robyn Hitchcock, Bonnie Prince Billy, Wovenhand, dEUS, Iron & Wine, Liars, Anna Calvi, Akron Family, Badly Drawn Boy, Destroyer, Massimo Volume, Local Natives e chissà quanti ne sto saltando e chissà quanti ne ho persi, tutti gratis a venti centimetri dal palco e con una birra in mano. Se non è un paradiso, poco ci manca.

13. Secondo te quali sono i miei progetti per il futuro, musicalmente? Insomma, farò una virata acustica intimista oppure un album grind-core?
Continuerai a fare quello che stai già facendo, ovvero scrivere belle canzoni fregandotene di chi le andrà poi ad ascoltare. E non è poco.

14. Un disco di cui non parla nessuno e che invece è bellissimo.
“The Soul of Spain”, degli Spain. Non sono italiani e non ci azzeccano niente, ma non ne parla nessuno ed è un album fantastico.

15. Un disco di cui parlano tutti e che invece è una cagata pazzesca. (Motivando, si capisce)
Le cagate pazzesche le lascio ascoltare ad altri. Non ci perdo neanche tempo.
PS: ma chi sono sti “tutti”?

16. Il disco dell’anno del 2013 potrebbe essere quello di?
Nick Cave & The Bad Seeds. Lo sarà di sicuro.

17. Fammi una domanda tu.
La prima volta che ci siamo incontrati ti avevo consigliato di ascoltare più a fondo i dischi di Francesco Guccini, che è molto di più di un cantautore “impegnato” e “La Locomotiva” ecc ecc. L’hai fatto? Se sì, ne è valsa la pena?

(Sì. L’ho fatto. Sì. Ne è valsa la pena, porco cane)

Qui le domande le faccio io: Intervista a Fabrizio Zampighi di Sentire-Ascoltare.

Fabrizio Zampighi ha curato la recensione di “Togliamoci il pensiero” su Sentireascoltare.com, il magazine che aveva ospitato l’anteprima esclusiva in streaming del disco. Eccovi la sua recensione e, sotto, l’intervista che gli ho fatto in merito. Buona lettura.
—————
Si definisce un cantante “povero”, Giancarlo Frigieri, facendo torto a sé stesso. Anche se un mood involontariamente scompigliato lo cogli davvero in una poetica che rimane comunque riconoscibile, per certi versi tradizionale, innegabilmente autarchica. Quinto disco in carniere e un immaginario sonoro in bilico tra rock ad ampio spettro e Giorgio Gaber, Francesco Guccini e Pierangelo Bertoli, ma anche, per dire, un Mauro Mercatanti dei tempi di Infedele alla linea. Tanto per sottolineare che qui di laccature ordinarie e ben codificabili legate a una riscoperta à la page della canzone all’italiana ne troverete ben poche. Al massimo una sensibilità d’autore che mira al quotidiano, a una dimensione locale e da essere umano con tutti i pregi e i difetti del caso.
Del resto l’ex Love Flower/Julie’s Haircut/Joe Leaman ci ha abituati a un punto di vista tutto suo sul mondo e sulla la vita, rinnovato con stile ad ogni passaggio discografico. Anche con un Togliamoci il pensiero che non fa eccezione in questo senso, adottando il linguaggio della semplicità folk-rock (la title-track) e mescolandolo, di volta in volta, a richiami tra i più disparati: il Messico di frontiera de Il nemico, la chiusa quasi hardcore del L’altra, il blues-funk di Senza canditi. Con quel valore aggiunto di cui si diceva poche righe più su, ovvero la capacità di scrivere su un attualità semplice e legata a filo doppio alle umane solitudini. Quel che accade soprattutto in una La polisportiva che nei suoi cinque minuti riesce a dipingere un universo ristretto, contestualizzato, ma anche commovente e con le sue regole, tra badanti e pensionati, gnocco fritto e balli di gruppo.
Fabrizio Zampighi
(6.8/10)
————————

Intervista alla rovescia:

1) E chi cavolo è Mauro Mercatanti? Non lo conosco assolutamente. Già che ci
siamo. Mi consigli qualche altro personaggio che tu trovi affine alle cose
che faccio e che potrei non conoscere?
Mauro Mercatanti è fondamentalmente un cantautore. Nel 2006 mi capitò tra le mai il suo “Infedele alla linea” (http://www.sentireascoltare.com/recensione/1726/mauro-mercatanti-infedele-alla-linea.html) e mi piacque molto. Lo trovai un disco molto diretto, formalmente anche imperfetto se vuoi, di certo fuori dai giri soliti. Feci anche un’intervista (http://www.sentireascoltare.com/articolo/515/mauro-mercatanti-fascino-dellantagonismo-e-teatro-canzone.html).
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, tolto Mercatanti, ti risponderei forse il Tenca cantante dei Manzoni per una sorta di neorealismo aggiornato che c’è nei testi di entrambi, nonostante le evidenti differenze stilistiche. E’ un giudizio, comunque, molto soggettivo.

2) Mi racconti quando è stata la prima volta che ti ricordi di aver preso un
pugno in vita tua? Ti ricordi perché te lo hanno mollato? Te lo meritavi? Il
nome di chi è stato?Credo di non averne mai presi (o se ne ho presi, non ricordo quando è successo). Di solito cerco di risolvere i problemi parlando.

3)Dici, nella recensione de “Togliamoci il pensiero”, che si trovano ben poche “laccature ordinarie e ben codificabili legate ad una riscoperta à lapage della canzone all’italiana” e lo dici con un’accezione positiva. Chi

secondo te, nell’attuale messinscena indipendente italiana, cade invece nel
tranello di cui sopra? I nomi e le motivazioni, guai a te se ti sottrai.
E’ un accezione positiva, è vero, ma non è detto che sia negativo a prescindere il fatto di “laccare” o “codificare”, se alla base c’è un contenuto di valore. Penso all’ultimo disco di Brunori Sas, per esempio, un’opera che non mira certo ad evolvere il concetto di canzone d’autore (ecco quindi il codificare, il rendere riconoscibile) pur contenendo ottime canzoni. Dente è un altro che lavora moltissimo sulla riconoscibilità e le laccature, ottenendo a volte risultati interessanti, a volte meno. D’altra parte ci sono band come i Santo Barbaro che stravolgono il concetto di canzone d’autore in maniera efficacissima piegandolo a quello che è il loro immaginario o magari musicisti acuti e poliedrici come 33 Ore.

4) Visto che ti è piaciuta molto “La polisportiva”. Come ti vedi a 70 anni?

“La polisportiva” mi è piaciuto molto perché è un brano commovente. In più sono romagnolo – e quindi legato all’immaginario dei bar e dei circoli di partito – e ho vissuto un paio di anni in zona Modena. Conosco bene, quindi, ciò di cui parli nel testo. A 70 anni non so se ci arriverò. Se dovessi farcela, comunque, sarò presumibilmente obbligato a non sentirmi troppo stanco, visto che la pensione me la posso scordare

Tre versi del disco che ti sono piaciuti tanto ma tanto, che hai detto
“Cavoli, ma Frigieri è proprio bravo”.
1) Così a guardarla imborghesita e persa / dentro a un atteggiamento superiore / ci suona strana questa tenerezza / mentre leggiamo in faccia il suo dolore
2) Con l’espressione sempre un po’ più seria / di chi vuol solo chiudere con dignità la propria storia
3) Tra coppie che nel tempo di una firma son passate / dal tempo delle mele / a quello delle rate

6) Mi trovi una definizione per me, di quelle che siete bravi voi scriba,
del tipo “Il Savonarola della musica indipendente italiana” ? Questa però
non vale, l’ha detta un DJ che si fa chiamare Klaus Augenthaler ma che in
realtà mette spesso i dischi tra Carpi e Correggio.
Non saprei. L’immagine che ho di te, però, è di un punk prestato al cantautorato. Non tanto per un fatto squisitamente musicale, quanto per una questione di attitudine.

7) Il disco italiano più importante di tutti i tempi, a titolo puramente
personale di Fabrizio Zampighi. Se fai scattare l’aneddoto guadagni cento
punti in più, naturalmente.
Impossibile risponderti in questi termini. Potrei parlarti al massimo di un disco importante per me. Un critico istituzionale e con tutti i crismi ti citerebbe forse un De André, un CCCP o un Gaber (artisti che ho ascoltato per vie traverse in gioventù e che continuo ovviamente ad ascoltare anche ora). Io in realtà devo molto, per quello che sono e che faccio (bello o brutto che sia), a “Hai paura del buio?” degli Afterhours. Quel disco mi ha cambiato. Quando uscì, nel 1997, ero un ventiduenne della provincia che non scriveva di musica e ascoltava (quando aveva soldi da spendere) quasi esclusivamente materiare proveniente dall’estero. Gli Afterhours di quel disco mi fecero capire che si poteva “osare”, liberare la creatività anche con pochi mezzi (e in italiano) e che in fondo era tutto lì a portata di mano. Un concetto da applicare alla musica, ma non solo a quella.

8) Il disco straniero più importante di tutti i tempi, a titolo puramente
personale di Fabrizio Zampighi. Qui va bene anche senza aneddoto, se ti
vergogni.
Anche qui scendo sul personale, perché non avrebbero molto senso i giudizi netti. Non avendo collezioni di dischi di fratelli maggiori o di genitori di cui godere, ho cominciato tardissimo ad ascoltare musica in maniera sistematica (anche grazie a un dj di una piccolissima radio locale, una persona che non ringrazierò mai abbastanza). “Sucking In The Seventies” e “Steel Wheels” degli Stones sono state le prime cassette che ho comprato. “Steel Wheels” lo ritengo ancora un buon disco, nonostante parte della critica lo abbia degradato a incidente di percorso. Parlando invece di dischi da isola deserta, potrei citarti un “Pink Moon” di Nick Drake o un “Monk Alone” di Thelonious Monk. E’ roba da cui non riesco a separarmi.

9) Visto che mi hai dato un 6.8 di voto, adesso mi spieghi anche cosa non ti
piace del mio disco. Oppure, se proprio vuoi fare la personcina ben educata,
almeno mi spieghi cosa significa “mood involontariamente scompigliato”?

Su sentireascoltare.com il voto massimo è 8 (a parte rarissime eccezioni) e quindi 6.8 non è un brutto voto. “Mood involontariamente scompigliato” si ricollega all’immagine punk a cui ti associavo poche righe più su. Il tuo mi pare un cantautorato molto di sostanza, terreno, dagli arrangiamenti diretti e senza troppi fronzoli.

10) Mi dici cosa ne pensi della scena musicale italiana e come secondo te è
destinata ad evolversi, sia a livello di spazi che di proposte, nei prossimi
10 anni. Non sto parlando di dare delle ipotesi tanto per dire. Ti chiedo di
fare una previsione e di azzeccarla, per il 2022. Chiaro che non è facile,
lo so benissimo. Insomma, sbilanciati.
Non so. Ho come l’impressione che la crisi discografica che c’è in Italia (anche per i musicisti più commerciali, che di solito contano su un seguito generalista e forse meno appassionato di musica) potrebbe paradossalmente spingere le major a investire su qualche talento della scena indipendente. Segnali in questo senso ce ne sono. Penso al boom dei Baustelle, al fatto che produzioni come Amor Fou e Il teatro degli orrori vengano distribuite da major, ai Marta sui Tubi a Sanremo 2013. Di buono, la scena indipendente ha da offrire un pubblico dedicato e consapevole. In termini più prosaici, un mercato affezionato a cui vendere, se non un disco, almeno una serie di concerti. Sono solo ipotesi, comunque.

11) Gli ultimi 3 concerti di musicisti poveri (o indipendenti) italiani chehai visto e dove, con uno stringato giudizio.

Comaneci, Bronson (Ravenna)
Come al solito emozionanti. Sembra folk e invece è blues

Honeybird & The Birdies, Club BenTivoglio (Bologna)
Un tuffo nei Novanta di Ani Di Franco e di Manu Chao

Confusional Quartet, Locomotiv (Bologna)
Tiratissimi

12) Perché “noi alternativi” non riusciamo ad ascoltare un pezzo rock con
delle parole stupide nella nostra lingua e riusciamo a farlo con la lingua
inglese esaltandoci come pazzi? Sempre che tu condivida la cosa, altrimenti
dimmi come la vedi.
Perché in fondo siamo dei provinciali. Che si stia a Bologna, Milano, Roma o Bagnacavallo non importa. Credo che all’italiano medio manchi molto spesso una buona dose di capacità critica. Lo si vede nella musica, ma anche nei fatti della politica. Troppo sentimento, troppo tifo calcistico e poca voglia di capire, di informarsi, di giudicare razionalmente.

13) Il nome ed una descrizione minuziosa sull’onda dei ricordi della prima
persona della quale ti sei innamorato, a parte la mamma.
Scherzi? Mai.

13bis) Sei un codardo. Lo sai, vero? :-)

14)In genere l’ultima domanda delle interviste è “Progetti per il futuro?”.
Mi dici tu quali sono i MIEI progetti per il futuro, secondo te?

Credo che sarebbe un obiettivo interessante (se già non lo fai) riuscire a vivere esclusivamente di musica.

Qui le domande le faccio io: Intervista alla rovescia con Gustavo Tagliaferri (Mag-Music)

Gustavo ha fatto una recensione entusiastica del mio album e la metto qui sotto. Poi sono partito io a fare domande. A differenza dele altre due interviste pubblicate finora questa è avvenuta con il classico sistema delle domande mandate in un file di word, che mi è stato rimandato indietro il giorno seguente con le risposte. Il tono è meno colloquiale e più ufficiale, diciamo. Diciamo anche che l’idea è quella di non fare tutte le interviste allo stesso modo e quindi cambieremo metodo di volta in volta, senza particolari calcoli ma assecondando soltanto quello che è lo stato del nostro umore. La cosa divertente è che ad un certo punto, leggendo l’intervista, sembra che il disco l’abbia fatto lui e io sia il giornalista :-) Buona Lettura.

RECENSIONE DI “TOGLIAMOCI IL PENSIERO”  a cura di GUSTAVO TAGLIAFERRI

Sassolini nelle scarpe, rospi in gola, tracce da dissotterrare, idee brulicanti nella testa. Togliersi il pensiero significa tante cose, ed è una pratica che può avvenire nei momenti più inaspettati, per non dire nel corso di un periodo particolarmente fruttuoso per se stessi. Ma può significare anche tenere da parte l’autoproduzione, dopo essere stata d’uso comune per diversi anni, e ricominciare ad affidarsi a diverse label non da poco conto, tanto alla New Model Label di Govind Khurana quanto alla Controrecords di Davide Tosches. E se il soggetto in questione risponde al nome di Giancarlo Frigieri, allora la descrizione, di conseguenza, calza a pennello. Già, “Togliamoci il pensiero“.
Un pensiero che prende forma ad un solo anno da “I sonnambuli“, ma le cui radici corrispondono a molte cose nell’aria per il cantore di Rubiera, che in quanto ad eredità della vecchia corrente d’autore made in Italy ne sa a pacchi, vista la sua capacità di frullare le diverse caratteristiche e punti vincenti dei suoi molteplici esponenti creando un songwriting proprio, dove ad ogni lezione corrisponde un’apprensione portata a termine. Un pensiero che è un punto di svolta su tutti i fronti, non solo quelli della produzione.
Là dove c’erano anche Guccini e Bennato si aggiungono il diletto, il ludico, la cattedrale di Winchester ed altre storie che sono di casa in quel de La polisportiva, solo una tappa in chiave western di un viaggio dove, come in una staffetta, si passano il turno la religione, la politica, Rino Gaetano e il Vasco Rossi degli esordi (viene in mente Sballi ravvicinati del 3° tipo) che vengono fuori nel ritmo che travolge la ballata Diversi dagli altri, lo Jannacci malinconico che permea Grappoli, Gaber e mariachi che vanno incontro in una Il nemico più attuale che mai, il country-blues della title-track e colpi di scena come il garage-rock di La nostalgia, l’impennata tribale, con tanto di galvanizzante conclusione, di L’altra, il groove di scuola disco ’70s di Senza canditi, fino a che le tinte noir con retrogusto etno-jazz che tracciano il profilo dei Criceti, con grazia, non chiudono l’album.
Cambiamenti che, per certi versi, non potevano essere estranei per colui che ha cominciato la sua carriera anche come uno dei primi batteristi dei Julie’s Haircut. Un passato che non muore mai per un disco come questo “Togliamoci il pensiero”, che, sembrerebbe un’eresia, eppure probabilmente è un disco punk, per quello che è il percorso di Frigieri. Punk in senso di attitudine, di voglia di continuare a fare quello che si sente dentro, di scrollarsi di dosso ogni preoccupazione. Un sentimento pienamente condiviso dagli ascoltatori, senza alcun dubbio.

Gustavo Tagliaferri

 

INTERVISTA (Quello con i numeri sono io che faccio le domande, l’altro è Gustavo che risponde)

1. Mi racconti la prima volta che hai fatto una recensione? Che disco era, che voto hai messo, chi è stato l’incosciente che ti ha dato fiducia e ti ha fatto scrivere?

Avevo 17 anni e scrivevo servendomi del sistema track-by-track, una tecnica di cui tutt’ora mi vergogno particolarmente, visto che non è quello più consono per quanto riguarda l’analisi di un disco. L’opera in questione era “Trama Tenue” di Ginevra Di Marco. Del 1999, sì, del resto era il 2007 e recensivo solo vecchi dischi in quel di DeBaser.it, sito dove ogni tanto ancora faccio un salto. Ho continuato su questa linea d’onda per un po’ di tempo, decidendo anche, ad un certo punto, di eliminare una volta per tutte quel dannato track-by-track, preferendo un’analisi generale di ogni singola opera, andando alla rinfusa per quanto riguarda l’ordine delle tracce e focalizzandomi sulle influenze, sulla verve, sui pregi e sui difetti, se presenti. Nel mentre già conoscevo, cosa avvenuta per caso, Marco Gargiulo, il deus ex machina di Mag-Music, e da lì, poco a poco, sono diventato quello che sono adesso. Pur nel mio essere uno scrittore mediocre.

2. Mi sembra che il disco ti sia piaciuto davvero tanto. Mi dici quali sono le canzoni più riuscite e perché, ma senza il linguaggio giornalistico. Insomma, me lo dici come se fossimo al bar davanti ad una birra?

Eccome se mi è piaciuto! Le canzoni più riuscite non so, quelle a cui tengo particolarmente senza dubbio (l’assolutismo non è un mio dogma quando parlo di certi ambiti artistici). Difatti mi vengono subito in mente “Il Nemico”, “L’Altra” e “La Polisportiva”. La prima la sento mia dal punto di vista non solo musicale, ma anche sociale, e sa essere proprio sociale senza perdersi in pinzillacchere nonsense, la seconda, nel mostrare un lato inedito del tuo modo di fare (con il contributo vocale di Riccardo Bregoli), lascia facilmente esterrefatti a tal punto da rimanere, al contempo, belli che soddisfatti, e la terza, un viaggio all’interno delle proprie memorie, riesce ad essere lo stesso viaggio di altre persone che ascoltano la tua musica, come me.

3. Come facevi a sapere che di tanto in tanto faccio una cover di “Sballi ravvicinati del terzo tipo” di Vasco Rossi?

Vuoi sapere la verità? Io non lo sapevo proprio! Io sono legato al Rossi di un tempo, dagli esordi fino a “Fronte Del Palco” incluso, e “Non Siamo Mica Gli Americani”, disco a cui sono tutt’ora affezionato, è stata una delle mie colonne sonore di un viaggio fatto prima della maggiore età, che se dovessi rifare sceglierei altre compagnie (basta con i parenti!). Ecco, una traccia su cui mi focalizzavo, ed oggi ora più che mai. era proprio questa. Non è da tutti i giorni ritrovare il mood di un brano simile in un album come il tuo…

4. Raccontami un rifiuto che ti è rimasto impresso, della tua vita. Una volta che ti hanno detto di no. Non importa l’ambito, che sia musicale o affettivo o che sia di quando ti hanno messo in panchina da piccolo nella squadra di pallone. Scegli tu.

Mah, così a due piedi è difficile stabilire quale. Diciamo che mi sono rimaste maggiormente impresse certe tristi storie avvenute tra le medie e il liceo, ma lì ammetto che la responsabilità era anche mia.
Musicalmente parlando, per fortuna, ricevo meno rifiuti…

5. Ci sarà qualcosa del disco che hai pensato potesse venir meglio. Qualcosa che hai detto “Ma che cavolata, da Frigieri non me lo aspettavo.” Sfogati pure.

Nulla. No, giuro, nulla che mi abbia fatto storcere il naso! Ci fosse stato lo avrei scritto pure, come faccio da tempo quando mi metto di buona lena a buttare giù pensieri.

6. Personalmente trovo che il termine “indipendente” sia stato usato come specchietto per le allodole talmente tanto che oggi sarebbe meglio dire “povero”. Tu cosa ne pensi?

Premettendo che non parlo quasi mai dell’uso di questo termine, perché preferisco focalizzarmi sul genere che fa un determinato artista, il problema non è essere indipendente, ma ben altro, e va dal fatto che ci sia qualcuno che sarà anche indipendente ma che fa musica che a me non attira al pensare che esistano solo un tot di nomi degni di nota nella scena made in Italy, fino al rischio di bollare tutto quello che ti cattura come “indie” diventa un vero e proprio harakiri. Se cito tra i più blasonati Dente, Brunori e Dimartino, che a me piacciono pure, dico che fanno pop con influenze d’autore, non li chiamo “indie”. Se devo parlare di indie parlo di indie rock, come i Pavement e i Grandaddy, giusto per tornare indie-tro (sic!) nel tempo, pur frugando nell’estero.

7. Di questa fantomatica “messinscena indipendente”, mi fai un nome che secondo te è sopravvalutato e uno che invece è sottovalutato?

Di sopravvalutatissimi dico senza alcuna remora i Nobraino. Sottovalutato? Eh, gli Elettrofandango sono i primi che mi vengono.

8. Argomentando, chiaramente.

I Nobraino, che un tempo mi incuriosivano pure, trovo siano l’unica mela marcia di una buona etichetta come la MArteLabel, in quanto a sound sono la brutta copia di altri progetti ben più interessanti e anche vocalmente non c’è proprio da essere felici. Certi (non tutti) li ricorderanno solo perché Lorenzo Kruger, il cantante, si è fatto la barba mentre cantava al concerto del 1° maggio di quest’anno. Io per fortuna ho provato ad andare oltre e posso confermare quanto sopra.
Gli Elettrofandango sono un vero e proprio uragano spaccatutto, quello che oggi il Teatro Degli Orrori non è, e mi ha sorpreso scoprire che sono anche molto amici di Remo Remotti. Non so se hai avuto modo di ascoltare “Achab”, lavoro che hanno pubblicato proprio quest’anno. Trovo sia qualcosa di fenomenale e ti anticipo che lo inserirò nella mia “”””classifica”””” (metto le virgolette perché non credo nelle posizioni, ma nel valore delle opere) di fine 2012. Come da mia precedente recensione, ad un certo punto sono gli Alice In Chains che incontrano i Neurosis…

9. Qual è il concerto più bello che tu abbia visto nella tua vita in assoluto e perché? Ovviamente racconta anche un particolare.

Nel corso di quest’anno ne avrò visti una marea, dopo aver fatto l’enorme errore (ancora me ne pento) di non girare per la mia città credendo di perdermi da un momento all’altro. Se dovessi scegliere, ne tirerei in ballo due a cui sono particolarmente affezionato, entrambi di quest’anno: il primo di inizio giugno, al Circolo Degli Artisti, che ha visto sullo stesso palco i Luminal e i Kardia, non solo per la bella musica che ho sentito, ma anche perché ho avuto modo di conoscere e rivedere tante persone a cui voglio un bene dell’anima, il secondo di metà luglio, al SuperSanto’s di San Lorenzo, con Giardini Di Mirò e Massimo Volume. In due ore la mia mente ha cominciato a volare in altre dimensioni…

10. Mi dici tre versi del disco che ti sono rimasti in mente in modo particolare? Tre versi e basta, sempre ammesso che tu riesca ad arrivare a tre. E spiegami pure il perché, naturalmente.

1) “Ah, che bei tempi quelli lì, non ne fan mica più di nemici così.” (“Il Nemico”)

Dovrei citare il testo completo, ma mi fermo solo su questo verso. Credo sia emblematico per chi, come me, ha capito la differenza tra chi è semplicemente una triste macchietta e chi invece è un vero e proprio despota. Potrei fare un esempio politico a proposito: la differenza tra Bettino Craxi e Mario Monti. Pur non essendo io un ammiratore di Craxi (sono troppo anarchico, o perlomeno ci provo, per esserlo), e pur ammettendo diversi suoi inciuci, non nego che qualche buona idea improvvisamente gli è venuta, perlomeno per quanto riguarda la tematica della sovranità nazionale e il rapporto con il Medio Oriente. Monti invece, da burattino dell’elite di banchieri, multinazionali e simili che non parla in mio nome, è un’incarnazione della distruzione, spacciato come alternativa ad un poveraccio come Berlusconi. E non lo dico io, lo dicono le testimonianze dei cittadini che non ci stanno, No TAV inclusi. Poi non stupiamoci se certe tematiche che erano tipiche dei movimenti rivoluzionari, oltre che della sinistra di un tempo, siano finite in mano o a gentaglia di estrema destra (magari gli stessi che ignorano che Mussolini se la faceva con l’elite di cui sopra, o perlomeno con certi suoi abbinati) o a frutti marci come Scilipoti (chi ha detto IDV?).
Veramente, è più facile riconoscere la triste macchietta piuttosto che il despota.

“Con l’espressione sempre più un po’ più seria di chi vuol solo chiudere con dignità la propria storia.” (“La Polisportiva”)

Sono le memorie di cui sopra che includono un invito ad andare avanti a testa alta fino alla fine del proprio ciclo. Un invito che non vale solo per “La Polisportiva”, per quanto mi riguarda, ma proprio per la vita in sé.

“…se tutti qui vogliono essere sempre diversi dagli altri, ma uguali tra loro.” (“Diversi Dagli Altri”)

Anche qui dovrei citare un intero testo. Quello di un brano che ondeggia tra teologia e sociale, che parla di necessità di capire chi si è veramente, senza ergersi a chissà quale alto livello solo per fare chissà quale bella figura. Nel più triste dei casi si finisce a fare la figura di chi non ha ancora capito cosa basta per stare in pace con se stessi, in quello più deprecabile si diventa parte di quella che io chiamo “la società dell’orrore”.

11. La domanda di rito a tutti quelli che sto intervistando a rovescio. Suoni uno strumento? A che livello? E se hai cominciato e mollato, racconta qualcosa a riguardo.

Suonavo, semmai. Mi sono dilettato qualche volta con la batteria, un po’ di più con la chitarra acustica e maggiormente con la tastiera, andando dal mediocre all’accettabile in quanto a risultati. Non ho mai avuto modo di provare l’esperienza di suonare in una band vera e propria, forse perché non ho mai sentito un input vero e proprio fare strada dentro di me.

12. Mi dici cosa ne pensi della grafica del disco, della copertina in particolare e che legami ci vedi con i temi trattati?

Trovo faccia da ciliegina sulla torta, sia in quanto ad artwork che nella scelta del formato digipack. Le scale facenti da copertina, per certi versi, le vedo come un collegamento proprio con “La Polisportiva”. Sono delle memorie le cui testimonianze scritte le puoi trovare in uno scantinato o in una soffitta senza neanche ricordare di averle ancora. Luoghi che possono anche diventare spunto di ispirazione per le canzoni a venire. Come da titolo: “Togliamoci Il Pensiero”!

13. Tre dischi e tre libri. Al volo, senza pensarci troppo.

Dischi: “The Downward Spiral”, Nine Inch Nails. “Dig Your Own Hole”, The Chemical Brothers. “Sanacore 1.9.9.5.”, Almamegretta.
Libri: “Favole Al Telefono”, Gianni Rodari. “Il Bar Sotto Il Mare”, Stefano Benni. “Parola Di Giobbe”, Giobbe Covatta.

14. Qual è stata la volta della tua vita nella quale, se ci ripensi, dici a te stesso che “quella volta sono proprio stato un bastardo”?

Ti dirò, pur avendo pensato in certi momenti di esserlo stato, forse non lo sono mai stato del tutto. Al massimo ci sono state occasioni in cui mi sono reso conto di aver avuto una certa responsabilità nei confronti di persone che non sono comunque state proprio corrette con me. Ma se quelle persone non si sono rese conto dei propri difetti è un problema esclusivamente loro, io cerco di capire dove ho sbagliato.

15. La cover che io farei benissimo, secondo te.

Che ne dici di qualcosa di Claudio Lolli? “Borghesia”, “L’Amore E’ Una Metamorfosi”, o persino “Notte Americana”…

16. Vuoi farmi una domanda tu? Giuro che rispondo.

Pensi che tra le tue tappe live future ci sarà anche qualcosa in quel di Roma? Magari in uno dei tanti locali di San Lorenzo. Se la cosa andasse in porto, ci sarebbe modo di incontrarsi dal vivo…

(E qui rispondo dicendo che mi piacerebbe molto e che magari, se qualcuno che ha un locale a Roma rispondesse a qualche messaggio invece di cazzeggiare… )

Qui le domande le faccio io: intervista alla rovescia con Carlo Bordone

Questa è la recensione di Bordone su DISTORSIONI e a seguire la chiacchierata via Skype, così come l’abbiamo fatta, coi refusi e tutto. Et voilà.

Togliamoci subito il pensiero: in ambito “nuovi cantautori italiani” (definizione fastidiosamente pedante, e proprio per questo abbastanza precisa), Giancarlo Frigieri è uno dei migliori. Per tutta una serie di motivi. Per cominciare ha le canzoni, e questo  non è un dato del tutto irrilevante. In molti si cantano addosso sbrodolandosi il colletto di retorica, oppure all’altro estremo barattano la capacità di comunicare con una presunta ”ricerca sul suono”. Frigieri, molto più modestamente, abbina musica e parole in modo che si sostengano a vicenda e che esprimano una visione del mondo , un frammento di realtà, un barlume di poesia.  In fondo è quello il senso dello scrivere canzoni. Parole e musica. Delle prime il nostro emiliano con la “r” gucciniana ne ha tantissime, e le sa usare con una abilità non comune. Le mette in rigorosa rima alternata, e se si pensa che questo alla lunga possa essere uno schema un po’ soffocante o semplicistico basterebbe citare un certo Bob Dylan che lo fa da cinquant’anni, con risultati – pare – soddisfacenti. I testi hanno ritmo, procedono  per associazioni efficaci nelle descrizioni e spesso evocative (un esempio: “quando te ne vai e fai entrare l’altra/io come un signore in epoca feudale/scelgo per me il taglio di carne migliore/e poi frano a valle sui detriti del tuo amore”),  e  spesso attingono a citazioni prese argutamente dallo stupidario linguistico e intellettuale nel quale siamo immersi (la “chiacchiera”, la chiamava Heidegger) per rielaborare un minimo di senso a cui aggrapparsi.  Pur non arrivando mai all’invettiva aperta, è evidente che Frigieri è un moralista. Intesa in senso alto, non è una parolaccia. Se avessimo la coda di paglia, vi aggiungeremmo subito l’aggettivo “gaberiano”, ma non lo facciamo perché l’apparente complimento nasconderebbe l’individuazione di un limite. Gaber – che rappresenta certamente un’influenza sulla poetica frigeriana, si pensi al titolo del disco che richiama un altro famoso calembour come “e pensare che c’era il pensiero”, oppure a frasi ultra-gaberiane come “una massa critica è pur sempre massa” – è stato un grande eretico ma anche uno snob inacidito, un borghese che lanciava strali alla borghesia più che altro perché si annoiava. Ecco, benché brani come Diversi dagli altri corrano il rischio di suonare moralisti nel senso peggiore del termine, con bersagli anche un po’scontati, Frigieri è tutt’altro tipo di artista e di osservatore. Lo dimostra una canzone come La polisportiva, bello squarcio di vita popolaresca da Guareschi redivivo– badanti ucraine, vecchi ex ballerini, comari che tagliano i panni alle spalle e in sottofondo le note di Winchester Cathedral – oppure i ritratti di persone consumate dalla routine del lavoro di Criceti, oppure ancor la poesia dell’ebrezza evocata in Grappoli. E la musica? C’è anche quella, e per fortuna  non si limita allo strimpellamento voce chitarra. Rispetto agli album che lo hanno preceduto – L’età della ragione, Chi ha rubato le strade ai bambini? e I Sonnambuli – questo è quello che denuncia maggiormente le origini rock di Frigieri (quando cantava in inglese con i Joe Leaman). La nostalgia e la parte finale di L’altra sono incalzanti e persino dure,  mentre il r’n’r/folk di Togliamoci il pensiero fa venire in mente il miglior Bennato. Altrove gli arrangiamenti provano a battere strade inusuali: l’indolenza da mariachi misto Casadei de Il nemico, il funky leggero di Senza canditi. Il pregio più grande rimane comunque l’accessibilità melodica, al servizio di concetti sui quali si può anche non essere d’accordo ma sempre espressi in modo chiaro e diretto.  Musica e parole di Giancarlo Frigieri. Uno che ha delle cose da dire, e le sa dire sempre meglio.

carlo bordone 12.40
io sono qua

GiancarloFrigieri 12.40
due secondi che apro ai cani, che devono pisciare. Preparo una tisana ai 700 all’ora e arrivo

carlo bordone 12.40
sto qua

GiancarloFrigieri 12.42
regola base. quando uno ha finito dice (finito) tra parentesi, così l’altro può cominciare, ok?
(finito)

12.44
Ci sei?

carlo bordone 12.45
eccomi
(finito)

GiancarloFrigieri 12.45
Allora, cominciamo:

carlo bordone 12.45
vai vai, che so’ caldo

GiancarloFrigieri 12.46
Per cominciare. La tua recensione. L’ho letta. Manca il tuo codice IBAN. Nel senso che quando l’ho letta ho pensato di doverti qualcosa. Davvero pensi così bene di me?
(finito)

carlo bordone 12.48
penso bene del disco, non di te. ah ah, scherzo. beh, sì, il disco mi è piaciuto. anche più degli altri prima, che già avevo apprezzato (sopratutto I Sonnambuli). se non mi fosse piaciuto lo avrei scritto (comunque l’IBAN te lo mando via sms)
(finito)

GiancarloFrigieri 12.49
Ho letto però un commento su Gaber che personalmente non condivido. Come mai pensi che fosse un vecchio borghese inacidito e annoiato?
(finito)

12.53
(Sei vivo?)

carlo bordone 12.54
Eh eh, lo sapevo che me l’avresti chiesto. Beh, lo era, soprattutto nell’ultima parte della sua vita: vecchio, inacidito e (questo in raltà lo era da almeno 40 anni) borghese. La vena delle prime cose di teatro-canzone si era inaridita in un fastidio generalizzato da brontolone con la papalina in testa. Arrivo a dirti che era pure diventato reazionario tout court, toh. Poi è chiaro che si dovrebbe valutare quanto c’è di suo e quanto di Luporini, ma a me certe frasi come “mi fanno tristezza le file fuori dai musei con i panini” (cito a memoria, forse le parole non erano esattamente quelle ma il senso sì) mi fanno girare i coglioni.
Sono espressione di un pensiero elitario, che vuole distinguersi dalla massa in modo forzato.
Non ci sono neanche più il nichilismo e la disperazione di Io se fossi Dio. Solo noia, appunto.
(scusa gli errori di battitura, ce n’è almeno uno ogni riga)
(finito)

GiancarloFrigieri 12.57
A me quella frase lì invece è sempre piaciuta tantissimo. Diceva “mi dà malinconìa”. Penso intendesse dire che la cultura è un percorso individuale e che volerla imporre alla portata di tutti è una forzatura. Non perché ci siano persone più intelligenti di altre, quanto perché è appunto una scelta personale, quella di acculturarsi. Nella “fila con i panini” si scorge bene questa voglia di assumere la cultura quasi per osmosi, senza fatica. Ma qui se vuoi possiamo parlare per secoli e parlare solo di questo, quindi parlerei anche di altro. Vuoi?
(Finito)

carlo bordone 12.59
Voglio. Abbiamo interpretazioni dverse di quella strofa, e anche la tua può starci benissimo. Si potrebbe continuare con altre, da “io non mi sento italiano” in giù, ma siccome non mi sono preparato su Gaber, preferisco rispondere su Frigieri, che è l’argomento dell’esame.
(finito)

GiancarloFrigieri 12.59
Anche tu avrai, come noi che suoniamo, le domande che non sopporti più ma alle quali devi rispondere, quindi provvedo subito. Ma che cazzo ti saltò in mente di stroncare “Ok Computer”? Io che quel disco lì era bellissimo lo avevo capito subito al primo ascolto di quando arrivò nella radio dove trasmettevo.
(finito)

13.04
Minchia, Guglielmi a confronto era Usain Bolt

carlo bordone 13.05
Quando va in prescrizione il reato di leso-Radiohead? Ci mette più di quelli per mafia, mi pare. Allora, quel disco non mi piaceva allora e continua a non piacermi adesso (mente invece Kid A e Amnesiac li ho apprezzati molto). Non era per fare il figo, tra l’altro quando uscì quell’album la radiohead-mania non c’era ancora, erano considerati un bel gruppo pop inglese, c’era curiosità sulle loro prossime mosse e tutto quanto, ma nessuno poteva prevedere il peso che avrebbe avuto Ok Computer. La mia non fu uan stroncatura sulla abse di un pregiudizio o di un’antipatia congenita, e neanche una roba di pancia. Ricordo che ascoltai la cassetta (allora mandavano quelle) per tutto un weekend, e a ogni asoclto il fastidio saliva sempre di più. Per me era, ed è, un disco lamentoso, pesante, retorico. Con delle splendide aperture di chitarra, questo sì, ma il resto è un macigno.
(sì, ma guarda che risposte che ti do…)

GiancarloFrigieri 13.05
AHAHAHA
Scusa. Finito?

carlo bordone 13.05
yes

GiancarloFrigieri 13.05
Posso pubblicarla così, con tutte le cagate?
(finito)

carlo bordone 13.06
Fanne cò che vuoi, ma almeno i refusi correggili, dai.
CIO’

GiancarloFrigieri 13.06
Si. Hai detto MENTRE INVECE, ad esempio. E’ pleonasmo. A scuola me lo segnavano con la biro rossa

carlo bordone 13.07
io andavo dalle suore, erano meno severe
anche se menavano come delle assassine

GiancarloFrigieri 13.07
Comunque, io che era un capolavoro lo avevo capito. Peraltro quando sentii “The bends” la primissima volta dissi candidamente “Bon, questi sono il classico gruppo da una canzone e via”
salvo poi ricredermi dopo qualche mese, quando ascoltai come si deve il disco.

carlo bordone 13.08
va beh, dai, sticazzi dei Radiohead, no?

GiancarloFrigieri 13.08
Si, si. Era per chiacchierare.

carlo bordone 13.08
chiedimi che tempo fa a Torino

GiancarloFrigieri 13.08
Qual è la canzone del disco che ti piace di più?
Non dei radiohead

carlo bordone 13.09
La polisportiva
e Grappoli

GiancarloFrigieri 13.10
Mi tiri fuori una definizione musicale in una riga per “La polisportiva”? Una roba come fate voi critici quando dite “I Ministry suonati dai Blur che vanno a braccetto con Caetano Veloso”
(finito)

carlo bordone 13.10
De Gregori che si beve un bicchiere di rosso con Guareschi
(finito)

GiancarloFrigieri 13.11
Insomma, De Gregori.
AHAHAHAHA

carlo bordone 13.11
Ma anche Guareschi
a me De Gregori non piace, tra l’altro

GiancarloFrigieri 13.12
Ricordo che dicesti meraviglie di un’edizione del Traffic con De Gregori e Bennato.

carlo bordone 13.12
ah ah ah. sì. fu la pietra tombale del Traffic.
che poi boh, manco me lo ricordo se suonò davvero de Gregori
(finito)

GiancarloFrigieri 13.13
Suonò. Penso con la DOnà e con Brondi, pure. Ma passiamo oltre. “Grappoli” invece, di che pensi che parli? Perchè è uno dei pochissimi casi dove lascio un poco di interpretazione a chi ascolta e volevo sapere, visto che ti è piaciuta, che tipo di storia ti eri immaginato.

13.15
(finito, scusa. Così hai la scusa per averci messo così tanto mentre andavi a rileggerti il testo che manco te lo ricordi)

carlo bordone 13.15
mah, una situazione tipo Festen, durante una cerimonia famigliare (matrimonio, penso) qualcuno che ne ha bevuto uno di troppo fa rivelazioni che non dovrebbe fare. tragedia. troppo letterale? magari è una metafora per il fatto che ci teniamo dentro cose che non vogliamo esprimere neanche a chi ci sta più vicino, e solo in stato di ebbrezza vengono fuori
non è vero, il testo lo ricordo così bene che ti dico un’altra cosa che ho pensato al primo ascolto. la strofa di apertura mi ha ricordato “A 1000 dollar wedding” di Gram Parsons

GiancarloFrigieri 13.17
Ok, direi che ci siamo quasi. Nel senso che a dirti la verità manco io so esattamente come va a finire. Dei giorni mi immagino una cosa, dei giorni un’altra.  Sono anche piuttosto orgoglioso di quel testo lì. Il pezzo di Parsons non lo conosco, la somiglianza la intendi musicale o testuale?

carlo bordone 13.17
testuale

GiancarloFrigieri 13.18
Ah, ok. Perché altrimenti c’era da farci una puntata di Voyager

carlo bordone 13.19
lì però la storia è molto più tragica
vengono a dire allo sposo che lei è morta

GiancarloFrigieri 13.19
Porca troia. No, lì non muore nessuno. In “Grappoli” al massimo a canzone finita possono volare due scapazzoni. Mi sembra invece che non ti sia piaciuta più di tanto “Diversi dagli altri” che ai concerti prende benissimo chiunque, invece. E’ per via del testo o è soltanto perché è in tonalità maggiore e gioca con le prime, le quarte e le quinte.
(finito)

carlo bordone 13.20
sì, la canzone funziona. ma non mi piace troppo per il testo, il perché lo spiego nella recensione
(finito)

GiancarloFrigieri 13.21
ok. Hai mai provato a suonare qualche strumento?
(finito)

carlo bordone 13.21
ovviamente no

GiancarloFrigieri 13.21
mai neanche la tentazione?

carlo bordone 13.21
la chitarra a 14 anni, come tutti, ma ho mollato subio
meglio il pallone

GiancarloFrigieri 13.21
Ok, la chitarra. Mi dici che accordi sai fare?

carlo bordone 13.22
che ne so, sono passati trent’anni da quando ci ho provato

GiancarloFrigieri 13.22
buio totale proprio?

carlo bordone 13.23
certo. ma capisco il sottotesto della domanda, al quale rispondo mostrando tutta la mia coda di paglia con la frase migliore che ho sentito al riguardo: “non devi essere una balena per scrivere Moby Dick”
(finito)

GiancarloFrigieri 13.24
Volevo solo curiosare. Anche perché l’analogìa è sbagliata. “Moby Dick” è una chitarra o addirittura la musica, non il musicista.
Comunque ripeto, solo curiosità. E’ che se ti ricordavi un Re e un Sol, la prossima volta che venivo a torino potevamo fare almeno 7/8 canzoni degli Spacemen 3 insieme

carlo bordone 13.25
posso fare quello che balla, tipo Bez o Repetto

GiancarloFrigieri 13.26
A me ogni volta che nominano Repetto viene in mente quello che giocava nel Pescara.

carlo bordone 13.26
non ha giocato anche nell’Ascoli?

GiancarloFrigieri 13.26
Boh, può essere.
Sul calcio dei ’70 sono piuttosto ferrato. Ho passato l’infanzia sugli almanacchi Panini, sai… Modena e Sassuolo sono vicine. Li ho sfogliati al limite dell’autismo.
Poi è arrivato Google

carlo bordone 13.28
Gli almanacchi Panini sono una splendida lettura da cesso

GiancarloFrigieri 13.28
e quindi non serviva più a far gran figure in società dire cose del tipo “In finale nel 38 per l’Ungheria segnarono Titkòs e Sàrosi”
Insomma, si stava meglio quando si stava peggio.

carlo bordone 13.28
come sempre

GiancarloFrigieri 13.28
A proposito. “La nostalgia”
ti è piaciuta, ho letto. Non ti aspettavi un pezzo così punkettone?

carlo bordone 13.29
no, e neanche le urlate in L’altra

GiancarloFrigieri 13.29
Le urla ne “L’altra” non sono mie, hai letto il libretto vero?

carlo bordone 13.29
no, non avevo letto i credit

GiancarloFrigieri 13.30
(Ecco, lo sapevo, non l’ha letto. Poi dicono “Il fascino dell’oggetto” e blah blah blah)

carlo bordone 13.30
vedo che ci sono ancjhe i clacsonisti
è il violetto su nero che complica le cose. hai voluto fare il raffinato, eh?

GiancarloFrigieri 13.31
Eh si. C’è un filmato su Youtube, se digiti il mio nome e il titolo dell’album, dove c’è una scena della realizzazione. Per il violetto devi dirlo al tuo conterraneo Davide Tosches, che è responsabile del libretto.

carlo bordone 13.31
ahia

GiancarloFrigieri 13.31
Le foto invece sono di quella santa donna di mia moglie

carlo bordone 13.31
ritiro tutto, allora

GiancarloFrigieri 13.32
Comunque, le urla le fa Riccardo Bregoli, un ventenne di FInale Emilia che canta nei Red Line Season, un gruppo tutto tempi dispari, stacchi e urla da ossesso. Roba tipo At The Drive In prima maniera, per intenderci.
Mi dici un disco che per tutti è fondamentale e invece per te è una mezza cagata? “Ok computer” non vale, già sappiamo.
(finito)
Poi te ne dico uno io, se vuoi.
(finito davvero)

carlo bordone 13.34
Mellon Collie. Master of Puppets. qualunque cosa dei Depeche Mode.
e parecchia roba di De ANdré

GiancarloFrigieri 13.35
Apprezzo il coraggio. Scegline uno solo.

carlo bordone 13.35
Master of Puppets. ODIO i Metallica

GiancarloFrigieri 13.35
Hai 5 righe per dire perché odi i Metallica. Senza pensarci. Furore puro. Vai.

carlo bordone 13.36
mi fa schifo come cantano, come suonano, come si vestono, e comunque un gruppo guidato da un ex tennista non ha nessuns enso a prescindere

GiancarloFrigieri 13.37
Oddio, non è che hai argomentato granché. Nel senso che sembra un “perchè no no e no”

carlo bordone 13.37
l’odio non si argomenta

GiancarloFrigieri 13.38
Ok, ci può stare. Ma neanche l’album nero?

carlo bordone 13.38
no

GiancarloFrigieri 13.39
Sai come si chiama un pezzo nuovo che ho scritto?
(occhio)

carlo bordone 13.39
Metallica?

GiancarloFrigieri 13.39
“Il fruttivendolo con la maglietta dei Metallica”
Giuro

carlo bordone 13.39
che immagine orribile

GiancarloFrigieri 13.39
AHAHAHAHAHAHAHA

carlo bordone 13.40
anhce se “il macellaio con la maglietta di ok computer” era peggio

GiancarloFrigieri 13.40
E’ un’immagine reale. E’ il figlio del fruttivendolo che ha il furgonazzo davanti al posto dove lavoro. Un giorno esco e c’è lui chinato sulla verza, sudatissimo, con una maglietta di “Ride the lightning”.
Ho pensato subito “Che titolo della madonna”
Comunque
Tu mi hai visto suonare dal vivo. Due volte, se non erro.
Giusto?

carlo bordone 13.41

GiancarloFrigieri 13.42
Mi dici due personaggi della cosiddetta “scena indipendente” che dal vivo “mi battono” e due che invece “non sono neanche degni di allacciarmi le scarpe”?

carlo bordone 13.42
italiani?

GiancarloFrigieri 13.42
Si, si
E’ per seminare zizzania
(in realtà è per farsi due risate, ma non ride mai nessuno di queste cose e quindi finirà che qualcuno si offende, magari)

carlo bordone 13.44
quelli che ti battono: Benvegnù e Samuel Katarro (che non si chiama più così, ma vabbe’)
gli altri…dai, dobbiamo proprio?

GiancarloFrigieri 13.45
No, se hai paura fa niente, finiamo qui.

carlo bordone 13.46
che fai, sfidi?
ok, no problem. Canali, Le Luci della Centrale Elettrica

GiancarloFrigieri 13.47
(arrivo, un attimo che ho mio fratello al telefono)

carlo bordone 13.49
(comincio a sentire un certo languore pre-prandiale)

GiancarloFrigieri 13.49
Ok, adesso ti mollo.
Volevo soltanto chiederti, in chiusura. Ma come mai state ancora qui a parlare di etichette, distribuzione, cose così e non vi attentate mai a sparare un poco di cifre su quei quattro gatti che ascoltano musica dal vivo nella “messisncena indipendente”?

carlo bordone 13.51
lo abbiamo fatto, mi pare

GiancarloFrigieri 13.51
???

carlo bordone 13.52
ma cosa intendi?
non c’è bisogno di un’indagine sociologica, quando dichiari che come giornale vendi 6-7000 copie
quando vent’anni prima ne vendevi 25000

GiancarloFrigieri 13.53
Del tipo che spesso leggo robe del tipo “Esce in una edizione limitata e numerata a mano di 500 copie” in una recensione. E penso sempre “Perchè di più non le vendono di sicuro”

carlo bordone 13.53
va beh, non è che uno sta lì a specificarlo tutte le volt

GiancarloFrigieri 13.53
Si, ci mancherebbe.

carlo bordone 13.54
del resto è così, si sa. se uno vuole starne dentro ci sta, se no fa un’altra roba

GiancarloFrigieri 13.55
Ultimissima domanda: Visto che preparando questa chiacchierata ho imparato che hai le videocassette dell’Olanda del 1974 e visto che io ho i DVD dell’Olanda del 1974, cosa che mi ha fatto sorridere non poco. Qual è la tua partita preferita di quelle degli Orange? E poi, io credo che la Germania Ovest abbia meritato di vincere quel mondiale, dopo aver rivisto la finale più volte. Tu no?

carlo bordone 13.57
la partita più impressionante fu quella con l’Uruguay, credo la prima. immagino abbai avuto un effetto shock su chi guardava la tv. a un certo punto si vedono tipo sei o sette olandesi che si avventano su un poveraccio di uruguayano che portava palla. signore e signori: il pressing.
sì, tutto sommato la Germania ha meritato in quella partita, ma esteticamente è stato un peccato

GiancarloFrigieri 13.58
Si, lo so.
Vado a rivedermi la partita con l’Uruguay, non fosse altro che per vedere tutte le volte che ci sono almeno 5 maglie celesti in fuorigioco. E’ stato un piacere Sig. Bordone.

carlo bordone 13.59
Giancarlo, la mia signora mi reclama a pranzo

GiancarloFrigieri 13.59
Che c’è di buono?

carlo bordone 13.59
arrostino

GiancarloFrigieri 13.59
(Vada, scherzo. Vada. E saluti alla signora)

carlo bordone 13.59
è stato un piacere, come sempre. ma il Sassuolo non te lo guardi?

Qui le domande le faccio io: intervista alla rovescia con Federico Guglielmi

Questa è la recensione di Togliamoci il pensiero scritta da Federico Guglielmi per il Mucchio di Novembre:

Da quando ha “scoperto” i testi in italiano, cioè da quel 2009 in cui ha debuttato nella lingua nazionale con L’età della ragione (dopo l’esordio solistico e quattro dischi alla guida dei Joe Leaman, tutti in inglese), Giancarlo Frigieri confeziona un album all’anno. Quest’ultimo, il primo non autoprodotto, inquadra efficacemente le numerose sfaccettature della poetica del cantautore rock emiliano: nelle musiche mai così eclettiche e “colorate”, nei testi (ora più ispirati dalla società in cui viviamo che non dalla sfera privata) sempre in bilico – con ironia – fra disillusione e deplorazione, in un approccio di fondo volutamente un po’ sgraziato e imperfetto come nell’indole del suo personale eroe Bob Mould (o come, ma il paragone è quasi solo attitudinale, Federico Fiumani). Nei nove pezzi di Togliamoci il pensiero c’è parecchio Giorgio Gaber, c’è cinismo senza possibilità di redenzione, ci sono anche dettagli non pienamente a fuoco e piccole cadute di tono… ma alla fine ogni cosa ha il sapore agrodolce della genuinità e della coerenza.

Intervistare Federico Guglielmi significa intervistare uno dei nomi storici della critica musicale italiana. Guglielmi mi sembra di averlo sempre letto da quando leggo di musica, e oggi che mi trovo in chat con lui per inaugurare il giro di “interviste alla rovescia” è un poco come alla prima mano di una partita di Briscola trovarsi l’asso in mano e calarlo all’istante. Allo stesso tempo è un poco come l’imprimatur papale: se va bene farla con Guglielmi, anche le altre “religioni” non oseranno dire di no. Ecco qui il resoconto di una chiacchierata via skype, dove si parla di musica ma anche di puttanate. Una chiacchierata integrata con qualche domanda via mail il giorno successivo, visto che siamo due persone piuttosto impegnate.

Prima domanda: Hai parlato nella recensione di “suoni mai così colorati”. Cosa intendevi dire?
Che, rispetto ai tuoi standard, si avvertiva una maggiore ricchezza sonora, sia in termini di quantità (quindi, arrangiamenti più ricchi), sia di qualità (più brillantezza, più sfumature).

Mi dici la porcata più grande che hai fatto ad una donna con la  quale stavi e che lei ancora non sa?
Non lo direi mai neppure sotto tortura. Comunque, nulla di cui debba seriamente vergognarmi o che io stesso non abbia probabilmente subito.

Ho visto che ti sei tolto dei sassolini dalla scarpa, ultimamente. In un ambiente dove nessuno parla mai male di nessuno se non dietro le spalle, questo ha causato un bel putiferio. Personalmente ho trovato lo sfogo su “Lo stato sociale” assolutamente sbagliato. Mi spiego meglio: quel pezzo lì non piace nemmeno a me, però mi sono venuti in mente quei discorsi che si leggevano sulle pagine dei vari “Gong” e “Muzak” quando i vecchi soloni della critica inseguivano la Musique Concrète e il Free Jazz, dicendo che i Ramones erano solo dei poveri fessi che non sapevano suonare e facevano tre note. Il che era vero, ma oggi i Ramones sono considerati giustamente un classico, grazie ai giovani che si affacciavano al mondo della critica all’epoca (che eravate poi voi). Insomma, corsi e ricorsi?
All’epoca del primo punk, per fortuna, non esistevano Internet e social network… ci fossero stati, il punk sarebbe morto nella culla perché sarebbe stato stambiato per l’ennesima pagliacciata o miseria di stagione. Figurati che può mai fregare, a un punkettaro come me, che quelle nullità non sappiano suonare… il punto è che certe esperienze musicali e culturali – mi riferisco alla New York dei ’70, ma anche alla Londra di poco dopo – nascevano spontaneamente e, comunque, derivavano da “spinte” un po’ più consistenti della speranza di essere recensiti da Rockit e di suonare al Miami. Dopo il tuo paragone, Joey, Johnny e Dee Dee si stanno rivoltando nella tomba…. e pure Malcolm McLaren, nonostante lui sia stato un pianificatore: una cosa è il situazionismo e un’altra la merda, consentimelo.

Mi dici quali sono le canzoni che ti sono piaciute di più nel mio disco? Un paio di titoli, oppure di più se sono di più quelle che ti hanno colpito particolarmente.
Insomma, mi è parso un disco più curato, nel complesso…

Mhhh… fai l’evasivo… Quante volte te lo sei ascoltato? La verità.
Ma dammi il tempo di rispondere! L’ho ascoltato sei o sette volte. Comunque “Togliamoci il pensiero”, “Il nemico”, “L’altra”, “Criceti”. Se vuoi ti dico anche che non mi piace “Senza canditi”,

Spiega perché. Usa pure la scimitarra.
Non è un discorso di testi. Non mi convinci con una base fusion.

Fusion? Uno prova a copiare spudoratamente James Brown ed esce fuori una base fusion? Allora ho sbagliato qualcosa. Pensa che un tuo collega mi ha detto che lì sembro Daniele Silvestri.
Penso che tu abbia compiuto, in generale, uno sforzo di eclettismo musicale. È un pregio ma può anche essere considerato un difetto, se le cose non vengono – a pare di chi ascolta – bene. Fusion era improprio, la fusion è più “leccata”. Diciamo che hai fatto una base funk-jazz. Non mi ha convinto. Sì, poteva essere un po’ Silvestri, ma lui è più pop. Quindi, per rispondere alla domanda di prima su cosa non mi è piaciuto… Secondo me hai provato a essere più vario, e non tutto ti è riuscito benissimo. Cosa che ci sta.

I cinque dischi da isola deserta che hai scritto nel corso degli anni e che oggi non ti porteresti assolutamente dietro. (Questi vanno scritti al volo, senza pensarci troppo, così poi puoi pentirti ulteriormente)
Non penso che potrei mai rinnegare le mie scelte di dischi da isola  deserta… Cioè… “Goodbye And Hello” di Tim Buckley, “Velvet Underground And Nico”, il primo degli Stooges, il debutto solistico di Stan Ridgway, “Crossing The Red Sea With The Adverts”, “Forever Changes” dei Love… come fai a toglierne anche solo uno? Sono molto serio anche in questi “giochini”, ci rifletto parecchio su, e difficilmente cambio idea. Magari un giorno potrei esprimere preferenze differenti, ma non ce n’è nessuno che potrei abiurare al punto di non volere assolutamente portarmelo più dietro.

Non abbiamo ancora parlato dei testi. Quali sono i testi che ti sono piaciuti di più e scendendo nel dettaglio, dimmi cosa ti è piaciuto di quei testi, se c’è qualche verso nel quale ti sei proprio identificato.
Mi piacciono più o meno tutti, e amo il fatto che siano piuttosto lunghi e articolati… oltre spesso gaberiani. Adoro, in particolare, quando dai addosso al clero. Se devo citarne uno dico quello di “Criceti”, meravigliosamente amarissimo. Un paio di versi? “Frano a valle sui detriti del tuo amore”, “i nostri fossi sono pieni di salti sbagliati”… quando ti ci metti sei un maestro di desolazione, più di te solo Claudio Lolli.

Per quanto riguarda i testi, nella recensione hai parlato di cinismo. È una cosa che mi dicono in tanti mentre io onestamente non mi sento per niente cinico. Certo, il gusto sarcastico e dissacrante del voler sempre dir la mia è una cosa che ho, ma non credo sia cinismo. Puoi spiegarmi perché hai usato quella parola lì?
Tendi a tirar fuori concetti molto espliciti, e il modo in cui li esprimi/canti non danno l’impressione che ciò che racconti ti faccia particolarmente soffrire. Prendi atto che tante, troppe cose non ti piacciono, ma in fondo non te ne frega nulla. Magari è solo disincanto, ma l’impressione del cinismo c’è. A me arriva come cinismo, seppur non sempre terribilmente caustico.

Cacchio, mi sa che comunico esattamente il contrario di quello che vorrei comunicare. Dannata eterogenesi dei fini! Cambiando discorso: su “Fuori dal mucchio” recensite tantissimi dischi e pochissimi concerti. L’impressione che se ne riceva è che “dei dischi in fondo posso anche parlartene bene, ma col cacchio che vengo a vedere un tuo concerto che farai schifo, brutto dopolavorista della musica.” Quanto ci ho preso e quanto no?
Sulla rivista, in “Fuori dal Mucchio”, recensiamo solo dischi, perché nove al mese su centocinquanta che mi arrivano sono già pochi… anche se una selezione accurata è meglio del dare spazio a chiunque. Per quanto riguarda il “Fuori dal Mucchio” in Rete, ormai fermo da quasi un anno, le recensioni dal vivo erano in effetti poche… ma non era una scelta strategica. Io vedo tantissimi concerti di area “Fuori dal Mucchio”, e così gli altri collaboratori… credo che, in generale, scrivere report di concerti non piaccia granché a nessuno. Credo, eh. A me, detta papale papale, rompe le palle: amo assistere ai concerti, ma se devo preoccuparmi della scaletta o di prendere appunti me li godo meno.

Non pensavo che non piacesse a nessuno. Comunque, mi hai convinto.Giuro, senza ironia. Ma il criterio di un disco su “Fuori dal mucchio” qual’è esattamente, se c’é? Ho visto dischi autoprodotti e dischi su major.
Su “Fuori dal Mucchio” vanno emergenti, autoprodotti, esordienti, sotterranei, di culto, sfigati assortiti (detto con ironia, va da sé). Sul giornale “normale”, al di là delle “star” conclamate, occasionalmente “proòuovo” gente di “Fuori dal Mucchio” che sta emergendo più concretamente o avrebbe tutte le carte in regola per aspirare a qualcosa di più: non parlo solo di qualità della musica ma anche di carisma, motivazioni, genere più appetibile, strutture di sostegno professionali. E poi non posso riempire ogni numero del Mucchio di italiani, sono troppi.

Sì, sì. Nessuno dice di riempire il giornale di italiani. Anzi, siete stati i primi a dare spazio a noi sfigati assortiti, a parte le finestrelle sui demo e questo penso vi vada riconosciuto. Mi interessava sapere se “facevate un po’ come cazzo vi pare”, cosa che sarebbe peraltro legittima, secondo me.
La “linea” è mia, ma ovviamente tengo conto dei preziosi suggerimenti dei miei collaboratori. Però, lo ribadisco, c’è un metodo: dall’esterno non è sempre facile capire quale sia, ma sarei in grado di spiegare ogni singola scelta compiuta. Scelta che magari, in qualche circostanza, può anche essere stata “sbagliata”, sia chiaro.

Cosa ne pensi del crowdfunding? A me sembra un inganno colossale. Ho scritto anche un post fresco fresco sul mio sito che uscirà tra qualche giorno. Mi sembra che si voglia mettere a pagamento tutto facendolo passare per un favore. Perché le “chiacchierate via skype” date come premio? E poi che premio è pagare in anticipo qualcosa che invece puoi permetterti di pagare alla consegna? E gli “accessi nel backstage”? Ma chi si credono di essere? Non sta tutto in antìtesi con quel sistema di valori che una volta si definiva “indipendente”?
Il sistema di valori del quale parli, ammesso che sia mai davvero esistito, non c’è quasi più, fatta salva qualche lodevolissima eccezione. Rispetto al crowdfunding, per come la vedo io è solo l’ennesima “brillante” trovata per farsi pubblicità e sommergerci ulteriormente sotto inutili dischi di merda. Non avere voglia – perché è di voglia che si tratta, non prendiamoci per il culo – di investire poche migliaia di euro nel proprio progetto musicale è a dir poco ridicolo. Nonché un’ulteriore dimostrazione di come, ormai, il disco sia un concetto svalutatissimo. Sia chiaro, contribuirei anch’io all’album di qualche genio incompreso che fa il barbone, ma mai darei un solo euro a qualche figlio di papà che trova  “cool” chiedere l’elemosina ai suoi fan. Andate a lavorare, cialtroni.

Mi spieghi che cacchio vuol dire “suoni stratificati”? Lo usate tutti. E che significa usare “destrutturazione della forma canzone” se poi quando vai a sentire la canzone c’è la strofa e il ritornello? Insomma, ma ‘sti critici musicali se non sanno di musica, di cosa scrivono?
Ahahahah… sì, capisco, in effetti alle volte saltano fuori espressioni di “slang da addetti ai lavori” che possono risultare un po’ fumose. Fondamentalmente, per come l’ho capita, si parla di “stratificazione di suoni” quando in un pezzo si butta dentro un sacco di roba, spesso tutta assieme. La destrutturazione sarebbe un modo anomalo, non classico, di organizzare una canzone.Che so, Le Luci della Centrale Elettrica destruttura, i Numero6 no. Poi è vero, però, che molti colleghi o aspiranti tali usano questi termini un po’ alla cazzo… ma che pretendi, ci sono tanti sedicenti giornalisti musicali che non solo conoscono al massimo trecento dischi, ma hanno anche un rapporto seriamente conflittuale con la grammatica e la sintassi di base.

Eh, appunto. Mi sembra ci siano dei termini di moda, che si usano per quattro o cinque mesi senza sapere bene cosa vogliano dire, poi si passa ad altri. Mi chiedevo “ma dove li leggono”?
È vero, è così. Te ne racconto una?

Come resistere? Spara.
Per decenni tutti, ovunque, hanno scritto, a proposito di un’etichetta, DELLA Warner, DELLA Urtovox, DELLA Controrecords… Mesi fa, all’improvviso, tre o quattro dei miei collaboratori hanno iniziato, più o meno all’unisono, a scrivere DI Warner, DI Urtovox, DI Controrecords. Ho chiesto spiegazioni, e nessuno ha saputo darmene. Io ovviamente ho rimesso i DELLA. Come quando qualche testa di cazzo ha deciso che DECADE era sinonimo di DECENNIO: cosa che non era ma ormai, per uso comune, sta purtroppo diventando.

Mi sembra un poco “Oltre il giardino” con Peter Sellers. Ma andiamo oltre. Un amico al quale ho fatto leggere la tua recensione, mi ha detto che secondo lui a te il disco è piaciuto ma non ti ha fatto impazzire, quindi hai iniziato a scrivere cose del tipo “coerenza” eccetera perché così arrivavi in fondo.
Ma no. Non è per arrivare in fondo. Che il disco abbia qualcosa che secondo me non gira perfettamente l’ho scritto con chiarezza. Ho però voluto inserire elementi positivi oggettivi. Se non sapessi come portare a termine dignitosamente 1050 caratteri sarei un giornalista penoso, non credi? Ho scritto esattamente quello che mi sembrava giusto scrivere, nel bene e nel male.

L’ultima volta che hai fatto a pugni? Hai cominciato tu o ha cominciato lui?
Circa venticinque anni fa. Ha cominciato lui, anche da ragazzo ho sempre usato la violenza fisica solo se costretto, come ultimo strumento di difesa.

Hai mai provato a suonare uno strumento? Se sì, a che livello sei arrivato e qual era lo strumento? Insomma racconta…
La chitarra, la batteria e le tastiere, ma mi sono fermato quasi subito perché ho capito che non facevano per me: non mi sapevo coordinare bene e non riuscivo a mantenere la concentrazione. Non ho comunque rimpianti, il non saper suonare non mi è mai mancato.