Qui le domande le faccio io: Intervista alla rovescia con Gustavo Tagliaferri (Mag-Music)

Gustavo ha fatto una recensione entusiastica del mio album e la metto qui sotto. Poi sono partito io a fare domande. A differenza dele altre due interviste pubblicate finora questa è avvenuta con il classico sistema delle domande mandate in un file di word, che mi è stato rimandato indietro il giorno seguente con le risposte. Il tono è meno colloquiale e più ufficiale, diciamo. Diciamo anche che l’idea è quella di non fare tutte le interviste allo stesso modo e quindi cambieremo metodo di volta in volta, senza particolari calcoli ma assecondando soltanto quello che è lo stato del nostro umore. La cosa divertente è che ad un certo punto, leggendo l’intervista, sembra che il disco l’abbia fatto lui e io sia il giornalista :-) Buona Lettura.

RECENSIONE DI “TOGLIAMOCI IL PENSIERO”  a cura di GUSTAVO TAGLIAFERRI

Sassolini nelle scarpe, rospi in gola, tracce da dissotterrare, idee brulicanti nella testa. Togliersi il pensiero significa tante cose, ed è una pratica che può avvenire nei momenti più inaspettati, per non dire nel corso di un periodo particolarmente fruttuoso per se stessi. Ma può significare anche tenere da parte l’autoproduzione, dopo essere stata d’uso comune per diversi anni, e ricominciare ad affidarsi a diverse label non da poco conto, tanto alla New Model Label di Govind Khurana quanto alla Controrecords di Davide Tosches. E se il soggetto in questione risponde al nome di Giancarlo Frigieri, allora la descrizione, di conseguenza, calza a pennello. Già, “Togliamoci il pensiero“.
Un pensiero che prende forma ad un solo anno da “I sonnambuli“, ma le cui radici corrispondono a molte cose nell’aria per il cantore di Rubiera, che in quanto ad eredità della vecchia corrente d’autore made in Italy ne sa a pacchi, vista la sua capacità di frullare le diverse caratteristiche e punti vincenti dei suoi molteplici esponenti creando un songwriting proprio, dove ad ogni lezione corrisponde un’apprensione portata a termine. Un pensiero che è un punto di svolta su tutti i fronti, non solo quelli della produzione.
Là dove c’erano anche Guccini e Bennato si aggiungono il diletto, il ludico, la cattedrale di Winchester ed altre storie che sono di casa in quel de La polisportiva, solo una tappa in chiave western di un viaggio dove, come in una staffetta, si passano il turno la religione, la politica, Rino Gaetano e il Vasco Rossi degli esordi (viene in mente Sballi ravvicinati del 3° tipo) che vengono fuori nel ritmo che travolge la ballata Diversi dagli altri, lo Jannacci malinconico che permea Grappoli, Gaber e mariachi che vanno incontro in una Il nemico più attuale che mai, il country-blues della title-track e colpi di scena come il garage-rock di La nostalgia, l’impennata tribale, con tanto di galvanizzante conclusione, di L’altra, il groove di scuola disco ’70s di Senza canditi, fino a che le tinte noir con retrogusto etno-jazz che tracciano il profilo dei Criceti, con grazia, non chiudono l’album.
Cambiamenti che, per certi versi, non potevano essere estranei per colui che ha cominciato la sua carriera anche come uno dei primi batteristi dei Julie’s Haircut. Un passato che non muore mai per un disco come questo “Togliamoci il pensiero”, che, sembrerebbe un’eresia, eppure probabilmente è un disco punk, per quello che è il percorso di Frigieri. Punk in senso di attitudine, di voglia di continuare a fare quello che si sente dentro, di scrollarsi di dosso ogni preoccupazione. Un sentimento pienamente condiviso dagli ascoltatori, senza alcun dubbio.

Gustavo Tagliaferri

 

INTERVISTA (Quello con i numeri sono io che faccio le domande, l’altro è Gustavo che risponde)

1. Mi racconti la prima volta che hai fatto una recensione? Che disco era, che voto hai messo, chi è stato l’incosciente che ti ha dato fiducia e ti ha fatto scrivere?

Avevo 17 anni e scrivevo servendomi del sistema track-by-track, una tecnica di cui tutt’ora mi vergogno particolarmente, visto che non è quello più consono per quanto riguarda l’analisi di un disco. L’opera in questione era “Trama Tenue” di Ginevra Di Marco. Del 1999, sì, del resto era il 2007 e recensivo solo vecchi dischi in quel di DeBaser.it, sito dove ogni tanto ancora faccio un salto. Ho continuato su questa linea d’onda per un po’ di tempo, decidendo anche, ad un certo punto, di eliminare una volta per tutte quel dannato track-by-track, preferendo un’analisi generale di ogni singola opera, andando alla rinfusa per quanto riguarda l’ordine delle tracce e focalizzandomi sulle influenze, sulla verve, sui pregi e sui difetti, se presenti. Nel mentre già conoscevo, cosa avvenuta per caso, Marco Gargiulo, il deus ex machina di Mag-Music, e da lì, poco a poco, sono diventato quello che sono adesso. Pur nel mio essere uno scrittore mediocre.

2. Mi sembra che il disco ti sia piaciuto davvero tanto. Mi dici quali sono le canzoni più riuscite e perché, ma senza il linguaggio giornalistico. Insomma, me lo dici come se fossimo al bar davanti ad una birra?

Eccome se mi è piaciuto! Le canzoni più riuscite non so, quelle a cui tengo particolarmente senza dubbio (l’assolutismo non è un mio dogma quando parlo di certi ambiti artistici). Difatti mi vengono subito in mente “Il Nemico”, “L’Altra” e “La Polisportiva”. La prima la sento mia dal punto di vista non solo musicale, ma anche sociale, e sa essere proprio sociale senza perdersi in pinzillacchere nonsense, la seconda, nel mostrare un lato inedito del tuo modo di fare (con il contributo vocale di Riccardo Bregoli), lascia facilmente esterrefatti a tal punto da rimanere, al contempo, belli che soddisfatti, e la terza, un viaggio all’interno delle proprie memorie, riesce ad essere lo stesso viaggio di altre persone che ascoltano la tua musica, come me.

3. Come facevi a sapere che di tanto in tanto faccio una cover di “Sballi ravvicinati del terzo tipo” di Vasco Rossi?

Vuoi sapere la verità? Io non lo sapevo proprio! Io sono legato al Rossi di un tempo, dagli esordi fino a “Fronte Del Palco” incluso, e “Non Siamo Mica Gli Americani”, disco a cui sono tutt’ora affezionato, è stata una delle mie colonne sonore di un viaggio fatto prima della maggiore età, che se dovessi rifare sceglierei altre compagnie (basta con i parenti!). Ecco, una traccia su cui mi focalizzavo, ed oggi ora più che mai. era proprio questa. Non è da tutti i giorni ritrovare il mood di un brano simile in un album come il tuo…

4. Raccontami un rifiuto che ti è rimasto impresso, della tua vita. Una volta che ti hanno detto di no. Non importa l’ambito, che sia musicale o affettivo o che sia di quando ti hanno messo in panchina da piccolo nella squadra di pallone. Scegli tu.

Mah, così a due piedi è difficile stabilire quale. Diciamo che mi sono rimaste maggiormente impresse certe tristi storie avvenute tra le medie e il liceo, ma lì ammetto che la responsabilità era anche mia.
Musicalmente parlando, per fortuna, ricevo meno rifiuti…

5. Ci sarà qualcosa del disco che hai pensato potesse venir meglio. Qualcosa che hai detto “Ma che cavolata, da Frigieri non me lo aspettavo.” Sfogati pure.

Nulla. No, giuro, nulla che mi abbia fatto storcere il naso! Ci fosse stato lo avrei scritto pure, come faccio da tempo quando mi metto di buona lena a buttare giù pensieri.

6. Personalmente trovo che il termine “indipendente” sia stato usato come specchietto per le allodole talmente tanto che oggi sarebbe meglio dire “povero”. Tu cosa ne pensi?

Premettendo che non parlo quasi mai dell’uso di questo termine, perché preferisco focalizzarmi sul genere che fa un determinato artista, il problema non è essere indipendente, ma ben altro, e va dal fatto che ci sia qualcuno che sarà anche indipendente ma che fa musica che a me non attira al pensare che esistano solo un tot di nomi degni di nota nella scena made in Italy, fino al rischio di bollare tutto quello che ti cattura come “indie” diventa un vero e proprio harakiri. Se cito tra i più blasonati Dente, Brunori e Dimartino, che a me piacciono pure, dico che fanno pop con influenze d’autore, non li chiamo “indie”. Se devo parlare di indie parlo di indie rock, come i Pavement e i Grandaddy, giusto per tornare indie-tro (sic!) nel tempo, pur frugando nell’estero.

7. Di questa fantomatica “messinscena indipendente”, mi fai un nome che secondo te è sopravvalutato e uno che invece è sottovalutato?

Di sopravvalutatissimi dico senza alcuna remora i Nobraino. Sottovalutato? Eh, gli Elettrofandango sono i primi che mi vengono.

8. Argomentando, chiaramente.

I Nobraino, che un tempo mi incuriosivano pure, trovo siano l’unica mela marcia di una buona etichetta come la MArteLabel, in quanto a sound sono la brutta copia di altri progetti ben più interessanti e anche vocalmente non c’è proprio da essere felici. Certi (non tutti) li ricorderanno solo perché Lorenzo Kruger, il cantante, si è fatto la barba mentre cantava al concerto del 1° maggio di quest’anno. Io per fortuna ho provato ad andare oltre e posso confermare quanto sopra.
Gli Elettrofandango sono un vero e proprio uragano spaccatutto, quello che oggi il Teatro Degli Orrori non è, e mi ha sorpreso scoprire che sono anche molto amici di Remo Remotti. Non so se hai avuto modo di ascoltare “Achab”, lavoro che hanno pubblicato proprio quest’anno. Trovo sia qualcosa di fenomenale e ti anticipo che lo inserirò nella mia “”””classifica”””” (metto le virgolette perché non credo nelle posizioni, ma nel valore delle opere) di fine 2012. Come da mia precedente recensione, ad un certo punto sono gli Alice In Chains che incontrano i Neurosis…

9. Qual è il concerto più bello che tu abbia visto nella tua vita in assoluto e perché? Ovviamente racconta anche un particolare.

Nel corso di quest’anno ne avrò visti una marea, dopo aver fatto l’enorme errore (ancora me ne pento) di non girare per la mia città credendo di perdermi da un momento all’altro. Se dovessi scegliere, ne tirerei in ballo due a cui sono particolarmente affezionato, entrambi di quest’anno: il primo di inizio giugno, al Circolo Degli Artisti, che ha visto sullo stesso palco i Luminal e i Kardia, non solo per la bella musica che ho sentito, ma anche perché ho avuto modo di conoscere e rivedere tante persone a cui voglio un bene dell’anima, il secondo di metà luglio, al SuperSanto’s di San Lorenzo, con Giardini Di Mirò e Massimo Volume. In due ore la mia mente ha cominciato a volare in altre dimensioni…

10. Mi dici tre versi del disco che ti sono rimasti in mente in modo particolare? Tre versi e basta, sempre ammesso che tu riesca ad arrivare a tre. E spiegami pure il perché, naturalmente.

1) “Ah, che bei tempi quelli lì, non ne fan mica più di nemici così.” (“Il Nemico”)

Dovrei citare il testo completo, ma mi fermo solo su questo verso. Credo sia emblematico per chi, come me, ha capito la differenza tra chi è semplicemente una triste macchietta e chi invece è un vero e proprio despota. Potrei fare un esempio politico a proposito: la differenza tra Bettino Craxi e Mario Monti. Pur non essendo io un ammiratore di Craxi (sono troppo anarchico, o perlomeno ci provo, per esserlo), e pur ammettendo diversi suoi inciuci, non nego che qualche buona idea improvvisamente gli è venuta, perlomeno per quanto riguarda la tematica della sovranità nazionale e il rapporto con il Medio Oriente. Monti invece, da burattino dell’elite di banchieri, multinazionali e simili che non parla in mio nome, è un’incarnazione della distruzione, spacciato come alternativa ad un poveraccio come Berlusconi. E non lo dico io, lo dicono le testimonianze dei cittadini che non ci stanno, No TAV inclusi. Poi non stupiamoci se certe tematiche che erano tipiche dei movimenti rivoluzionari, oltre che della sinistra di un tempo, siano finite in mano o a gentaglia di estrema destra (magari gli stessi che ignorano che Mussolini se la faceva con l’elite di cui sopra, o perlomeno con certi suoi abbinati) o a frutti marci come Scilipoti (chi ha detto IDV?).
Veramente, è più facile riconoscere la triste macchietta piuttosto che il despota.

“Con l’espressione sempre più un po’ più seria di chi vuol solo chiudere con dignità la propria storia.” (“La Polisportiva”)

Sono le memorie di cui sopra che includono un invito ad andare avanti a testa alta fino alla fine del proprio ciclo. Un invito che non vale solo per “La Polisportiva”, per quanto mi riguarda, ma proprio per la vita in sé.

“…se tutti qui vogliono essere sempre diversi dagli altri, ma uguali tra loro.” (“Diversi Dagli Altri”)

Anche qui dovrei citare un intero testo. Quello di un brano che ondeggia tra teologia e sociale, che parla di necessità di capire chi si è veramente, senza ergersi a chissà quale alto livello solo per fare chissà quale bella figura. Nel più triste dei casi si finisce a fare la figura di chi non ha ancora capito cosa basta per stare in pace con se stessi, in quello più deprecabile si diventa parte di quella che io chiamo “la società dell’orrore”.

11. La domanda di rito a tutti quelli che sto intervistando a rovescio. Suoni uno strumento? A che livello? E se hai cominciato e mollato, racconta qualcosa a riguardo.

Suonavo, semmai. Mi sono dilettato qualche volta con la batteria, un po’ di più con la chitarra acustica e maggiormente con la tastiera, andando dal mediocre all’accettabile in quanto a risultati. Non ho mai avuto modo di provare l’esperienza di suonare in una band vera e propria, forse perché non ho mai sentito un input vero e proprio fare strada dentro di me.

12. Mi dici cosa ne pensi della grafica del disco, della copertina in particolare e che legami ci vedi con i temi trattati?

Trovo faccia da ciliegina sulla torta, sia in quanto ad artwork che nella scelta del formato digipack. Le scale facenti da copertina, per certi versi, le vedo come un collegamento proprio con “La Polisportiva”. Sono delle memorie le cui testimonianze scritte le puoi trovare in uno scantinato o in una soffitta senza neanche ricordare di averle ancora. Luoghi che possono anche diventare spunto di ispirazione per le canzoni a venire. Come da titolo: “Togliamoci Il Pensiero”!

13. Tre dischi e tre libri. Al volo, senza pensarci troppo.

Dischi: “The Downward Spiral”, Nine Inch Nails. “Dig Your Own Hole”, The Chemical Brothers. “Sanacore 1.9.9.5.”, Almamegretta.
Libri: “Favole Al Telefono”, Gianni Rodari. “Il Bar Sotto Il Mare”, Stefano Benni. “Parola Di Giobbe”, Giobbe Covatta.

14. Qual è stata la volta della tua vita nella quale, se ci ripensi, dici a te stesso che “quella volta sono proprio stato un bastardo”?

Ti dirò, pur avendo pensato in certi momenti di esserlo stato, forse non lo sono mai stato del tutto. Al massimo ci sono state occasioni in cui mi sono reso conto di aver avuto una certa responsabilità nei confronti di persone che non sono comunque state proprio corrette con me. Ma se quelle persone non si sono rese conto dei propri difetti è un problema esclusivamente loro, io cerco di capire dove ho sbagliato.

15. La cover che io farei benissimo, secondo te.

Che ne dici di qualcosa di Claudio Lolli? “Borghesia”, “L’Amore E’ Una Metamorfosi”, o persino “Notte Americana”…

16. Vuoi farmi una domanda tu? Giuro che rispondo.

Pensi che tra le tue tappe live future ci sarà anche qualcosa in quel di Roma? Magari in uno dei tanti locali di San Lorenzo. Se la cosa andasse in porto, ci sarebbe modo di incontrarsi dal vivo…

(E qui rispondo dicendo che mi piacerebbe molto e che magari, se qualcuno che ha un locale a Roma rispondesse a qualche messaggio invece di cazzeggiare… )