Pavia Dylan

Stamattina c’è stata un’esplosione in una raffineria dell’Eni a Sannazaro de’ Burgondi, in provincia di Pavia.

Visto che non ci sono morti o feriti, mi permetto di dire che io, ogni volta che sento il nome “Sannazzaro de Burgondi” penso sempre che sia scritto “Burgundi” e mi viene da cantare:

“I started out on burgundy but soon hit the harder stuff”

Potreste pensare che… (In morte di Ric Ocasek, abbastanza a caso)

Feci la conoscenza dei Cars nel 1984. Avevo 12 anni e guardavo tantissimo “Videomusic” e c’era questo video dove, se mi ricordo bene, c’era anche una macchina che volava con loro sopra o un mostro che teneva una macchina in mano, insomma…lo dovrei riguardare (Quando scrivo questi post qui non è che ricontrollo, spesso scrivo come mi ricordo le cose e se me le ricordo male beh, pazienza, tanto si fa tanto per scrivere delle cazzate e penso che si capisca).

La canzone di chiamava “You might think” ed era parecchio ritmata e con un bel ritornello melodico e mi piaceva; era una di quelle che, quando io e i miei amici guardavamo Videomusic, alzavamo il volume e stavamo impalati lì allo schermo. Il cantante era un tipo con una faccia buffa e allampanata, uno di quelli che ti ricordi la faccia.

Una sera stavo guardando “Deejay television” e il veejay (non so se fosse Gerry Scotti o chi per lui) disse che era uscivo il nuovo singolo dei Cars, che si chiamava “Drive” e che adesso ci faceva vedere il video.

Quando partì il pezzo io pensai che si fossero sbagliati. La canzone era lenta e melensa, non aveva il ritornello ma era una ballata circolare, il video era in bianco e nero, la voce non era mica quella che cantava l’altro pezzo.

Poi invece nei giorni seguenti venne fuori che era vero che erano i Cars, si vede che nei Cars cantavano un poco a turno. A me questa cosa del cantare un poco a turno, a parte i Beatles, i Clash e pochissimi altri, non è che mi abbia mai convinto granché.

Quella canzone lì, sarà stato perché non mi sembrava mica che fossero loro o non so, a me faceva schifo. La sentivi dappertutto e la cosa mi dava anche da fare, come quando senti sempre una canzone che ti fa schifo.

Da lì in avanti, così come non sapevo chi fossero prima del video di “You might think”, i Cars per me cessarono di esistere.

Crescendo, ogni tanto mi ritrovavo qualcuno che li citava come influenza e, spesso, quando sentivo un gruppo che si dichiarava influenzato da loro, li andavo ad ascoltare ma non mi piacevano mica granché.

Ogni tanto, quando andavo a imbattermi in un pezzo prodotto da Ric Ocasek, pensavo “Che suono di merda, per forza è Ric Ocasek” e a volte invece pensavo “Cazzo, che bel suono. Eh beh, Ric Ocasek, una garanzia” e ogni volta mi sembrava naturale pensare quella cosa lì come se non avessi mai pensato l’altra.

Quella canzone che mi faceva così schifo diventò il loro successo più grande, un classico tra i classici, una delle canzoni più immortali degli anni ottanta. Nel corso degli anni, quando la sentivo, piano piano ho imparato a non cambiare stazione e poi ho capito che la canzone è proprio bella.

Però, quando la sento in un programma radio che poi dicono solo “E questi erano i Cars con la loro DRIVE” e poi non dicono che è strano che non la cantasse Ric Ocasek, penso sempre che quello che sta trasmettendo faccia il mestiere sbagliato. Tipo che stamattina, quando ho saputo che era morto, mi son detto che oggi un casino di Radio generaliste metteranno il pezzo e ci sarà qualcuno che dirà “la voce del grande Ric Ocasek in questa DRIVE…” e secondo me bisognerebbe, se vi accorgete che oggi qualcuno lo fa, non dico proprio sputtanarlo, ma almeno cambiare stazione, ecco…quello sì.

Dischi che mi rimetto in macchina – #1

Era il 1992 e tutti i dischi che uscivano dal Regno Unito avevano o la batteria simil funky alla Stone Roses-Charlatans-Happy Mondays oppure avevano le chitarre a manetta che grattugiavano e fischiavano, doveva ancora arrivare quella cosa che poi hanno chiamato BritPop, o magari era già arrivata ma ancora non lo chiamavamo così. Per dire, il primo album dei Blur aveva un paio di singoli (“Bang” e la meravigliosa “There’s no other way” che si ballava alla grande) che avevano la batteria alla Manchester che faceva tum tum cha tu ta tu ta tum cha.

 

Arrivò questo disco di questo gruppo che si chiamava Boo Radleys e l’album si chiamava “Everything’s alright forever”. C’erano anche dei singoli ma non me li ero mai cagati. Il disco aveva una copertina molto colorata e caleidoscopica di base arancione e dentro c’erano questi pezzi decisamente rarefatti come suono e con le voci non in primo piano e le chitarre a manetta, che quando partivano le chitarre così forte la batteria non la sentivi più.

 

Me lo registrai su una cassetta da cento minuti, 50 per lato, dall’altro penso di averci messo “Love of life” degli Swans ma potrei sbagliarmi. So che ci avevo messo un disco che volevo tanto sentire e invece quello dei Boo Radleys ce lo avevo messo tanto per metterci qualcosa, quando trasmettevo in radio capitava spesso che mi registravo dei dischi tanto per dargli una ascoltata e poi magari la settimana dopo ci registravo sopra.

 

Iniziai a sentire l’altro lato, quello con “Love of life” almeno credo e poi, una sera, dopo essermi fatto un bel cannone prima di andare a dormire, mi misi in cuffia l’album dei Boo Radleys.

 

Mi ricordo, tra le altre cose, che nel primo pezzo (Spaniard) ad un certo punto spuntava una tromba e non erano mica tanti i dischi pop che ascoltavo io dove c’era una tromba e, cosa più strana, quando entrava quella tromba lì io ho pensato subito “Vacca, senti che roba, che bello!”.

 

Poi mi ricordo che il disco scorreva via benino con qualche picco, tipo che l’ultimo pezzo del primo lato (Paradise o qualcosa del genere, dovrei ricontrollare) aveva le chitarre che ad un certo punto facevano un casino della madonna, tipo i Ride, insomma come nei dischi prodotti da Alan Moulder.

 

Poi mi ricordo che ad un certo punto c’era questa canzone che si chiamava “Song for the morning to sing” anche se io non lo sapevo, che non mi ero mica scritto i titoli, che quando è partita a metà del secondo lato io mi sono convinto che quel disco lì avrei dovuto ascoltarlo un bel po’ di volte che eravamo di fronte a un gruppo davvero bravo.

 

Poi il disco finiva, io il giorno dopo misi “Song for the morning to sing” in Radio, andando a vedere il titolo esatto sul vinile perché nel programma dovevo anche dire il titolo del pezzo.

 

L’ho ascoltato parecchio, poi tempo dopo uscì un singolo chiamato “LAZARUS” che era una specie di suite che partiva quasi reggae e poi diventava una cosa molto tipo i Beatles con una linea melodica e una introduzione di ottoni (ancora!) davvero notevole.

 

Quella canzone sarebbe stata anche, ma in una versione più corta almeno credo, nel loro secondo LP, che si chiamava “Giant Steps” come il disco di Coltrane e io me lo sentii mentre ero militare, registrato su una cassetta dove c’era soltanto quello e qualche pezzo alla fine del secondo lato di gruppi inglesi misti tipo Dr. Phibes & The House of Wax Equations o i Revolver, tanto per finire il lato.

 

Disco molto bello, più pulito del primo, penso di averlo messo come “disco dell’anno” nella playlist di fine anno mia anche se fu una cosa fatta più per compensazione del fatto di aver ascoltato il precedente dopo averlo escluso dalle playlist di fine anno e queste son cose che in radio ti senti di dover espiare.

 

Poi, qualche anno dopo, uscì “My friend Boo”.

 

Arrivai in radio con aspettative altissime e partì questa canzone che porco cane, sembrava un singolo dei Take That. Faceva schifo al cazzo. Ci rimasi malissimo. Li scaricai subito, ci misi una pietra sopra. Una roba tipo  vedere la tua ragazza che sta chiavando con un altro mentre ti ride in faccia.

 

Poi fecero un altro album, si chiamava “C’mon Kids” ma io non lo ascoltai neanche, basta. Con me avevano chiuso.

 

Ogni tanto, quando qualcuno tira in ballo i Boo Radleys, la prima canzone che salta fuori nel discorso da un sacco dei miei amici è quella merda di “Wake up Boo” e non avete idea di quanto questa cosa mi faccia incazzare.

 

(Ho deciso che tengo un solo disco in macchina alla volta, a parte quando faccio dei viaggi molto lunghi, e che ogni tanto ne parlo qui sopra. Questo è il numero uno ed è “Everything’s alright forever” dei Boo Radleys)