Canta che ti passa (e che te lo passo)

In un vecchio articolo di non mi ricordo che giornale, Brian Eno diceva una cosa secondo me giustissima. Brian Eno, per chi non lo sapesse, è uno che ha suonato con i Roxy Music, che ha prodotto i dischi migliori di gente come David Bowie, U2, Talking Heads e chi più ne ha più ne metta. Non è il primo coglione su questa terra, insomma, quando si parla di musica. E proprio di quello parlava il buon Eno. Anzi, di CANTO. Dell’importanza del canto.

Non era una colta digressione sulla qualità del canto di chicchessia, non era nemmeno un saggio sul canto di non so quale popolazione che veniva ripreso da chissà quale artista. Il succo dell’articolo era che cantare fa sentire meglio. Eno diceva che con i suoi vicini di casa aveva fatto un gruppo di canto. Si trovavano ogni (mettete voi il giorno) in casa di qualcuno. Ognuno portava qualche vettovaglia e poi, tutti insieme, cantavano. Il patto era che si sarebbe cantato a cappella, senza l’ausilio di nessuno strumento. E soprattutto che non si sarebbe registrato nulla. Ciò che veniva cantato rimaneva in quel momento in quella stanza e poi l’aria che le corde vocali dei presenti avevano fatto vibrare si sarebbe mescolata al resto dell’universo disperdendosi. Non c’erano secondi fini, si cantava e basta. Non importava nemmeno essere particolarmente intonati. Diceva che la cosa era profondamente divertente e che tutti, dopo la sessione, si sentivano molto meglio.

Ci credo. Cantare è bellissimo.

E’ liberatorio come poche cose al mondo. E possiamo farlo ovunque. Sul lavoro, sotto la doccia, in un centro commerciale. Se cominciamo a cantare tra gli scaffali del supermercato (io lo faccio spessissimo, magari andando dietro alla canzone che passa in filodiffusione) ci sarà sicuramente qualcuno che ci guarderà un poco male (accade spessissimo anche questo), ma se ci pensate bene quasi subito distoglierà l’attenzione da noi e tornerà ad occuparsi dei fagiolini in scatola scontati prendi 3 paghi 2. In fondo tante volte in un luogo pubblico sentiamo qualcuno canticchiare e suvvia, pensateci: difficilmente la cosa ci mette di cattivo umore.

Insomma, cantare rende il mondo un posto migliore.

Ricevere telefonate invece ci dà quasi sempre fastidio. Il telefono piomba con il suo suono sgraziato e taglia il silenzio come un coltello taglia una fetta di pane. Anche se abbiamo provato ad addolcirne il suono (inserendo motivetti o canzoni vere e proprie, a dimostrazione del paragrafo precedente) il ricevere una telefonata comporta sempre un piccolo (a volte infinitesimale) carico di ansia.
Le telefonate ricevute si sono moltiplicate con l’avvento della telefonia mobile. Una cosa alla quale ci siamo abituati e oggi abbiamo, non a caso, qualche piccola ansia compulsiva da ricevimento messaggi, da controllo di e-mail e cose così.

La cosa che è più fastidiosa però sono le telefonate promozionali. Quelle che ti arrivano da gente che non conosci e che non conoscerai mai che ti “offre” qualcosa che tu non hai chiesto e si permettono pure di insistere. Generalmente ti arrivano nei momenti in cui vorresti essere lasciato in pace. La pausa pranzo, spesso. Non hai tutto questo tempo e questi “DRIIIINNN” e poi “Pronto volevamo chiederle se il canone del….” e a quel punto tu ti metti lì e non vuoi essere scortese perché di là c’è uno con uno stipendio da fame che fa un lavoro di merda, perché rompere i coglioni alle persone per mestiere è veramente brutto (anche se farseli rompere a gratis è ancora più fastidioso).

Insomma, vuoi mandarli a quel paese, ma non vuoi essere brusco e scortese. Come fare? Personalmente ho “brevettato” un metodo che consiglio sempre a tutti e che oggi vorrei suggerire tramite questo sito. L’idea è molto semplice: CANTATE!!!

Se voi cominciate a cantare questi non avranno nemmeno il tempo di parlare, magari canteranno un poco con voi ma poi la smetteranno perché stanno lavorando e devono lavorare seriamente, altrimenti qualche loro superiore li prenderà per pazzi.

Non riusciranno a chiedervi nulla. Non c’è niente di più fastidioso di uno che canta mentre tu vuoi spiegargli qualche cosa, quindi dopo poco metteranno giù.

Difficilmente vi richiameranno e comunque diminuirà la frequenza (almeno con me è così). Infatti se tu chiami uno e questo canta sempre automaticamente pensi che quel tale deve essere picchiato nel cervello, il che comporta che non lo cerchi per fare affari. Nessuno vuole fare affari con un matto, visto che poi magari ti arriva un certificato.

Non dovete cantare per forza una canzone intera, potete anche fare dei piccoli pezzetti di ogni canzone che vi viene in mente. Non è necessario che siate intonati. Anzi, il contrario potrebbe far desistere prima il vostro interlocutore. Solo una cosa è importante: NON FERMARSI MAI, continuare a cantare. SEMPRE. Poi magari mettete giù di nuovo voi, se proprio loro non mettono giù, ma molto raramente succede.

A fine telefonata scoprirete di sentirvi meglio. Cantare fa sentire meglio. Funziona, davvero. Io in genere comincio con “Mi han detto che ti piacciono i ragazzi col ciuffo” e quasi sempre dopo una trentina di secondi canto pure “Chimera” di Gianni Morandi. In genere cose molto liriche, dove ci si sfoga per benino. In ogni caso, fate voi.

Vedrete, avrete una fila di rompicoglioni in meno nelle orecchie e voi vi sentirete molto ma molto meglio.

Parola di Brian Eno.

 

Poi dicono le tribute band…

Sabato sera 24 agosto, Festa del PD di Reggio Emilia, Area Sputnik.

Andiamo io e la mia signora a mangiare qualcosa e fare un giro. Ci sono i BIG BAMBOO, che sono un gruppo delle mie parti che fa un tributo a Bob Marley stupefacente da quanto assomiglino agli Wailers di “Babylon by Bus”. Quando entri nello spazio dell’Arena Concerti c’è una specie di muro fatto con dei pannelli che giorno per giorno illustrano tutti i concerti fino ad avere il programma completo, ogni concerto (o quasi) con la sua bella locandina appesa.

C’è anche la locandina dei Big Bamboo che hanno messo una foto gigante di Marley con la scritta “Big Bamboo” e “Bob Marley Tribute”. Non che la scritta non si veda, come fanno certe cover band che scrivono “DEPECHE MODE LIVE” a caratteri cubitali su una foto gigante di Dave Gahan e la parola “tribute” con il nome vero della band è scritta in Arial 7 che ci vuole il microscopio del Gran Sasso quando il tempo è sereno.

Ovviamente però la foto di Marley è messa in modo da catalizzare l’attenzione.

Una coppia cammina tranquillamente. Lei vede la foto di Marley sotto la scritta SABATO 24 AGOSTO e grida “NOO, DAI” poi si avvicina di corsa alla foto, legge la locandina e dice:

“AAAAHHHH ECCO (pausa) E’ UNA TRIBUTE BAND!”

(Se non l’avete capita subito non è grave. Occhio che quando arriva poi c’è da schiantarsi dal ridere. Tutto vero.)

TEMA: La volta che ho mangiato peggio in vita mia.

Svolgimento:

La volta che ho mangiato peggio in vita mia è stato il 22 agosto del 2013. Ero a Marina di Cecina, in provincia di Livorno, con mia moglie. Siamo arrivati e abbiamo parcheggiato lontano dal lungomare, che a Marina di Cecina di sera in agosto c’è traffico. Dopo che abbiamo parcheggiato ci siamo incamminati verso il lungomare e ci siamo detti che potevamo entrare in un ristorante qualsiasi che dai in fondo uno vale l’altro e che così magari non facevamo la fila come sul lungomare. Allora siamo entrati in un ristorante chiamato “DA FIAMMETTA” dove mia moglie ha deciso di prendere la pizza e io di mangiare del pesce.

Abbiamo ordinato e visto che avevamo letto “Birre artigianali” abbiamo chiesto cosa avessero. Ci hanno risposto che di birre artigianali avevano la MENABREA. Pessimo inizio, ma in fondo può capitare, ci siamo abituati, niente di grave.

Un indizio sospetto mentre aspettavamo, poi. Abbiamo visto due motorini di quelli che consegnano le pizze fermarsi davanti alle due case vicinissime al ristorante. Mi ricordo che io ho detto con mia moglie che dovevano essere proprio due cretini quelli che avevano ordinato le pizze pagando il supplemento del motorino e che magari te la consegnano anche fredda quando hai una pizzeria davanti a casa.

Poi è arrivata la pizza. Era grande come un 45 giri o poco più ed era peggio di quelle surgelate che trovi nei supermarket, sia come grado di croccantezza o sofficità, sia come sapore. A me invece è stato portato un antipasto che si chiamava “Il mare di fiammetta” che doveva essere una specie di gran trionfo dell’antipasto misto di mare e che vedeva qualche cozza e vongola secca, una fettina di una roba che credo dovesse essere carpaccio di tonno con una pisciata di maionese sopra e poi due crostini fatti con il pan carré. Avete presente quando comprate il pan carré e poi vi rimane aperto in frigo e prendete due giorni dopo una fetta in mano che si è un poco raggrinzita? Ecco, così. Manco tostato, giuro. Poi, visto che avevo preso anche un secondo di pesce avevo avuto con un tipo del ristorante un dialogo dove gli chiedevo tra lo sgombro e la palamita cosa avesse di fresco e lui ha risposto “La palamita!”. A quel punto io avevo confessato che “Io poi di pesce non capisco nulla, per carità” e lui aveva chiosato dicendo “Ma noi si, a noi con il pesce non ci fregano”.

Un quadratino grande come la “O” di quando fate “OK” con la mano, secco e raggrinzito servito su un alluminio circondato da verdure secche (l’olio non deve essere contemplato, nella cucina di Fiammetta) che rimanevano attaccate al cartoccio oppure venivano via ma ti dovevi mangiare anche la bauxite.

Ad un certo punto io ho perso la pazienza e ho proprio detto che dovevano andare a fare in culo a farmi spendere intorno ai 25 europei per quella merda. Ho detto proprio così e l’ho detto forte, tanto che mia moglie mi ha detto che dovevo stare attento che c’era il tipo dietro. Io ho ribattuto che oramai poteva soltanto sputarmi nel caffé, cosa che per un attimo ho temuto che abbia fatto visto che anche questo era talmente lungo che ho cercato il cartello “attenzione: acqua alta” con l’omino che annega.

Io sono di bocca buona, non mi lamento praticamente mai di un ristorante, figuriamoci pubblicamente. Quando vado al ristorante cerco sempre anche di raggruppare i piatti se fa comodo al cameriere e cerco di essere sempre gentile con tutti e portare pazienza qualora i tempi siano lunghi, specialmente quando sono in vacanza che invece loro stanno lavorando e servendomi da mangiare, ma come dice il mio amico Marco Paderni detto “Blasters” da Scandiano:

“Dio****, spendere dei soldi magari anche tanti per della roba che mentre la mandi giù fa schifo e la cosa migliore che ti può capitare è di far poca fatica a doverla anche cagare…”

“Da Fiammetta” a Marina di Cecina. Nel locale c’erano anche delle copertine di vinile, una era dei “That Petrol Emotion”. Dovevo aspettarmi qualcosa di terribile.

(Domani siamo al MEETING PEOPLE IS EASY, Festa del PD di Reggio Emilia, con il banchetto dei vinili del canile di Arceto. Ne abbiamo anche uno dei “That Petrol Emotion” che si chiama “Babble”. Chi lo compra vince del pan carrè raggrinzito)

Vaibrescions

Ieri sera io e la mia signora andiamo alla “Festa della libertà” di Zocca. E’ una consuetudine che abbiamo, ormai. Visto che in genere c’è un casino allucinante ci fermiamo a mangiare a Guiglia, dove in un albergo ristorante chiamato “Tre Lune” mangiamo due cotolette grandi come Piazza del Popolo buonissime, un piattone di verdure a buffet a testa, una San Miguel da 66 cl a cranio. Ci prendiamo anche il caffé. 30 euro in tutto, che in Emilia Romagna è un successone. Il tutto in compagnia di alcune simpatiche pensionate che svernano lì per l’estate e che scommettono tra loro se finiremo o meno la cotoletta. Da segnalare la pensionata che chiede alla cameriera se quella che è avanzata a lei “domani me la può fare in umido, con un poco di pomodoro che mi piace tanto…”.
Poi andiamo su, parcheggiamo lontanissimo e facciamo la solita passeggiatona a piedi. Ci facciamo largo tra l’odore acre della Marijuana in ogni angolo (a proposito: premio Oscar della comicità a chi ha postato su Facebook l’avviso “Attenzione che quest’anno ci sono anche i cani con la Digos”) e ascoltiamo distrattamente qualche gruppo, poi facciamo una passeggiata per le bancarelle del mercato.

C’è un tavolo dove un tipo legge i tarocchi. Io non ne posso più di questi qui. Del “pensiero magico”, intendo. Una di queste volte mi presenterò con una cassa di arance tarocco e poi l’appoggio sul tavolo dicendo “Non è che pretendo che le legga tutte. Mi dica, a grandi linee, di cosa parlano”.

Il truffatore che legge i tarocchi attira inevitabilmente qualche gonzo che si ferma a sentire cosa i tarocchi hanno da dire per lui. Mentre siamo lì allo stand a fianco arrivano tre ragazze. Tre ragazze che se ne parlassero due uomini tra loro al bar senza nessun freno politicamente corretto, probabilmente inserirebbero nella categoria delle “BELLE FIGHE”, se capite cosa intendo.

Una si siede, è tutta in solluchero perché “Ho proprio un sacco di domande e ho bisogno di risposte”. Il tipo fa la radiografia a tutte e tre e poi dice “Avverto delle buone vibrazioni”.

(Racconto della mia signora, Cristina Malagoli)