Qui le domande le faccio io: Intervista a Fabrizio Zampighi di Sentire-Ascoltare.

Fabrizio Zampighi ha curato la recensione di “Togliamoci il pensiero” su Sentireascoltare.com, il magazine che aveva ospitato l’anteprima esclusiva in streaming del disco. Eccovi la sua recensione e, sotto, l’intervista che gli ho fatto in merito. Buona lettura.
—————
Si definisce un cantante “povero”, Giancarlo Frigieri, facendo torto a sé stesso. Anche se un mood involontariamente scompigliato lo cogli davvero in una poetica che rimane comunque riconoscibile, per certi versi tradizionale, innegabilmente autarchica. Quinto disco in carniere e un immaginario sonoro in bilico tra rock ad ampio spettro e Giorgio Gaber, Francesco Guccini e Pierangelo Bertoli, ma anche, per dire, un Mauro Mercatanti dei tempi di Infedele alla linea. Tanto per sottolineare che qui di laccature ordinarie e ben codificabili legate a una riscoperta à la page della canzone all’italiana ne troverete ben poche. Al massimo una sensibilità d’autore che mira al quotidiano, a una dimensione locale e da essere umano con tutti i pregi e i difetti del caso.
Del resto l’ex Love Flower/Julie’s Haircut/Joe Leaman ci ha abituati a un punto di vista tutto suo sul mondo e sulla la vita, rinnovato con stile ad ogni passaggio discografico. Anche con un Togliamoci il pensiero che non fa eccezione in questo senso, adottando il linguaggio della semplicità folk-rock (la title-track) e mescolandolo, di volta in volta, a richiami tra i più disparati: il Messico di frontiera de Il nemico, la chiusa quasi hardcore del L’altra, il blues-funk di Senza canditi. Con quel valore aggiunto di cui si diceva poche righe più su, ovvero la capacità di scrivere su un attualità semplice e legata a filo doppio alle umane solitudini. Quel che accade soprattutto in una La polisportiva che nei suoi cinque minuti riesce a dipingere un universo ristretto, contestualizzato, ma anche commovente e con le sue regole, tra badanti e pensionati, gnocco fritto e balli di gruppo.
Fabrizio Zampighi
(6.8/10)
————————

Intervista alla rovescia:

1) E chi cavolo è Mauro Mercatanti? Non lo conosco assolutamente. Già che ci
siamo. Mi consigli qualche altro personaggio che tu trovi affine alle cose
che faccio e che potrei non conoscere?
Mauro Mercatanti è fondamentalmente un cantautore. Nel 2006 mi capitò tra le mai il suo “Infedele alla linea” (http://www.sentireascoltare.com/recensione/1726/mauro-mercatanti-infedele-alla-linea.html) e mi piacque molto. Lo trovai un disco molto diretto, formalmente anche imperfetto se vuoi, di certo fuori dai giri soliti. Feci anche un’intervista (http://www.sentireascoltare.com/articolo/515/mauro-mercatanti-fascino-dellantagonismo-e-teatro-canzone.html).
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, tolto Mercatanti, ti risponderei forse il Tenca cantante dei Manzoni per una sorta di neorealismo aggiornato che c’è nei testi di entrambi, nonostante le evidenti differenze stilistiche. E’ un giudizio, comunque, molto soggettivo.

2) Mi racconti quando è stata la prima volta che ti ricordi di aver preso un
pugno in vita tua? Ti ricordi perché te lo hanno mollato? Te lo meritavi? Il
nome di chi è stato?Credo di non averne mai presi (o se ne ho presi, non ricordo quando è successo). Di solito cerco di risolvere i problemi parlando.

3)Dici, nella recensione de “Togliamoci il pensiero”, che si trovano ben poche “laccature ordinarie e ben codificabili legate ad una riscoperta à lapage della canzone all’italiana” e lo dici con un’accezione positiva. Chi

secondo te, nell’attuale messinscena indipendente italiana, cade invece nel
tranello di cui sopra? I nomi e le motivazioni, guai a te se ti sottrai.
E’ un accezione positiva, è vero, ma non è detto che sia negativo a prescindere il fatto di “laccare” o “codificare”, se alla base c’è un contenuto di valore. Penso all’ultimo disco di Brunori Sas, per esempio, un’opera che non mira certo ad evolvere il concetto di canzone d’autore (ecco quindi il codificare, il rendere riconoscibile) pur contenendo ottime canzoni. Dente è un altro che lavora moltissimo sulla riconoscibilità e le laccature, ottenendo a volte risultati interessanti, a volte meno. D’altra parte ci sono band come i Santo Barbaro che stravolgono il concetto di canzone d’autore in maniera efficacissima piegandolo a quello che è il loro immaginario o magari musicisti acuti e poliedrici come 33 Ore.

4) Visto che ti è piaciuta molto “La polisportiva”. Come ti vedi a 70 anni?

“La polisportiva” mi è piaciuto molto perché è un brano commovente. In più sono romagnolo – e quindi legato all’immaginario dei bar e dei circoli di partito – e ho vissuto un paio di anni in zona Modena. Conosco bene, quindi, ciò di cui parli nel testo. A 70 anni non so se ci arriverò. Se dovessi farcela, comunque, sarò presumibilmente obbligato a non sentirmi troppo stanco, visto che la pensione me la posso scordare

Tre versi del disco che ti sono piaciuti tanto ma tanto, che hai detto
“Cavoli, ma Frigieri è proprio bravo”.
1) Così a guardarla imborghesita e persa / dentro a un atteggiamento superiore / ci suona strana questa tenerezza / mentre leggiamo in faccia il suo dolore
2) Con l’espressione sempre un po’ più seria / di chi vuol solo chiudere con dignità la propria storia
3) Tra coppie che nel tempo di una firma son passate / dal tempo delle mele / a quello delle rate

6) Mi trovi una definizione per me, di quelle che siete bravi voi scriba,
del tipo “Il Savonarola della musica indipendente italiana” ? Questa però
non vale, l’ha detta un DJ che si fa chiamare Klaus Augenthaler ma che in
realtà mette spesso i dischi tra Carpi e Correggio.
Non saprei. L’immagine che ho di te, però, è di un punk prestato al cantautorato. Non tanto per un fatto squisitamente musicale, quanto per una questione di attitudine.

7) Il disco italiano più importante di tutti i tempi, a titolo puramente
personale di Fabrizio Zampighi. Se fai scattare l’aneddoto guadagni cento
punti in più, naturalmente.
Impossibile risponderti in questi termini. Potrei parlarti al massimo di un disco importante per me. Un critico istituzionale e con tutti i crismi ti citerebbe forse un De André, un CCCP o un Gaber (artisti che ho ascoltato per vie traverse in gioventù e che continuo ovviamente ad ascoltare anche ora). Io in realtà devo molto, per quello che sono e che faccio (bello o brutto che sia), a “Hai paura del buio?” degli Afterhours. Quel disco mi ha cambiato. Quando uscì, nel 1997, ero un ventiduenne della provincia che non scriveva di musica e ascoltava (quando aveva soldi da spendere) quasi esclusivamente materiare proveniente dall’estero. Gli Afterhours di quel disco mi fecero capire che si poteva “osare”, liberare la creatività anche con pochi mezzi (e in italiano) e che in fondo era tutto lì a portata di mano. Un concetto da applicare alla musica, ma non solo a quella.

8) Il disco straniero più importante di tutti i tempi, a titolo puramente
personale di Fabrizio Zampighi. Qui va bene anche senza aneddoto, se ti
vergogni.
Anche qui scendo sul personale, perché non avrebbero molto senso i giudizi netti. Non avendo collezioni di dischi di fratelli maggiori o di genitori di cui godere, ho cominciato tardissimo ad ascoltare musica in maniera sistematica (anche grazie a un dj di una piccolissima radio locale, una persona che non ringrazierò mai abbastanza). “Sucking In The Seventies” e “Steel Wheels” degli Stones sono state le prime cassette che ho comprato. “Steel Wheels” lo ritengo ancora un buon disco, nonostante parte della critica lo abbia degradato a incidente di percorso. Parlando invece di dischi da isola deserta, potrei citarti un “Pink Moon” di Nick Drake o un “Monk Alone” di Thelonious Monk. E’ roba da cui non riesco a separarmi.

9) Visto che mi hai dato un 6.8 di voto, adesso mi spieghi anche cosa non ti
piace del mio disco. Oppure, se proprio vuoi fare la personcina ben educata,
almeno mi spieghi cosa significa “mood involontariamente scompigliato”?

Su sentireascoltare.com il voto massimo è 8 (a parte rarissime eccezioni) e quindi 6.8 non è un brutto voto. “Mood involontariamente scompigliato” si ricollega all’immagine punk a cui ti associavo poche righe più su. Il tuo mi pare un cantautorato molto di sostanza, terreno, dagli arrangiamenti diretti e senza troppi fronzoli.

10) Mi dici cosa ne pensi della scena musicale italiana e come secondo te è
destinata ad evolversi, sia a livello di spazi che di proposte, nei prossimi
10 anni. Non sto parlando di dare delle ipotesi tanto per dire. Ti chiedo di
fare una previsione e di azzeccarla, per il 2022. Chiaro che non è facile,
lo so benissimo. Insomma, sbilanciati.
Non so. Ho come l’impressione che la crisi discografica che c’è in Italia (anche per i musicisti più commerciali, che di solito contano su un seguito generalista e forse meno appassionato di musica) potrebbe paradossalmente spingere le major a investire su qualche talento della scena indipendente. Segnali in questo senso ce ne sono. Penso al boom dei Baustelle, al fatto che produzioni come Amor Fou e Il teatro degli orrori vengano distribuite da major, ai Marta sui Tubi a Sanremo 2013. Di buono, la scena indipendente ha da offrire un pubblico dedicato e consapevole. In termini più prosaici, un mercato affezionato a cui vendere, se non un disco, almeno una serie di concerti. Sono solo ipotesi, comunque.

11) Gli ultimi 3 concerti di musicisti poveri (o indipendenti) italiani chehai visto e dove, con uno stringato giudizio.

Comaneci, Bronson (Ravenna)
Come al solito emozionanti. Sembra folk e invece è blues

Honeybird & The Birdies, Club BenTivoglio (Bologna)
Un tuffo nei Novanta di Ani Di Franco e di Manu Chao

Confusional Quartet, Locomotiv (Bologna)
Tiratissimi

12) Perché “noi alternativi” non riusciamo ad ascoltare un pezzo rock con
delle parole stupide nella nostra lingua e riusciamo a farlo con la lingua
inglese esaltandoci come pazzi? Sempre che tu condivida la cosa, altrimenti
dimmi come la vedi.
Perché in fondo siamo dei provinciali. Che si stia a Bologna, Milano, Roma o Bagnacavallo non importa. Credo che all’italiano medio manchi molto spesso una buona dose di capacità critica. Lo si vede nella musica, ma anche nei fatti della politica. Troppo sentimento, troppo tifo calcistico e poca voglia di capire, di informarsi, di giudicare razionalmente.

13) Il nome ed una descrizione minuziosa sull’onda dei ricordi della prima
persona della quale ti sei innamorato, a parte la mamma.
Scherzi? Mai.

13bis) Sei un codardo. Lo sai, vero? :-)

14)In genere l’ultima domanda delle interviste è “Progetti per il futuro?”.
Mi dici tu quali sono i MIEI progetti per il futuro, secondo te?

Credo che sarebbe un obiettivo interessante (se già non lo fai) riuscire a vivere esclusivamente di musica.

Qui le domande le faccio io: Intervista alla rovescia con Gustavo Tagliaferri (Mag-Music)

Gustavo ha fatto una recensione entusiastica del mio album e la metto qui sotto. Poi sono partito io a fare domande. A differenza dele altre due interviste pubblicate finora questa è avvenuta con il classico sistema delle domande mandate in un file di word, che mi è stato rimandato indietro il giorno seguente con le risposte. Il tono è meno colloquiale e più ufficiale, diciamo. Diciamo anche che l’idea è quella di non fare tutte le interviste allo stesso modo e quindi cambieremo metodo di volta in volta, senza particolari calcoli ma assecondando soltanto quello che è lo stato del nostro umore. La cosa divertente è che ad un certo punto, leggendo l’intervista, sembra che il disco l’abbia fatto lui e io sia il giornalista :-) Buona Lettura.

RECENSIONE DI “TOGLIAMOCI IL PENSIERO”  a cura di GUSTAVO TAGLIAFERRI

Sassolini nelle scarpe, rospi in gola, tracce da dissotterrare, idee brulicanti nella testa. Togliersi il pensiero significa tante cose, ed è una pratica che può avvenire nei momenti più inaspettati, per non dire nel corso di un periodo particolarmente fruttuoso per se stessi. Ma può significare anche tenere da parte l’autoproduzione, dopo essere stata d’uso comune per diversi anni, e ricominciare ad affidarsi a diverse label non da poco conto, tanto alla New Model Label di Govind Khurana quanto alla Controrecords di Davide Tosches. E se il soggetto in questione risponde al nome di Giancarlo Frigieri, allora la descrizione, di conseguenza, calza a pennello. Già, “Togliamoci il pensiero“.
Un pensiero che prende forma ad un solo anno da “I sonnambuli“, ma le cui radici corrispondono a molte cose nell’aria per il cantore di Rubiera, che in quanto ad eredità della vecchia corrente d’autore made in Italy ne sa a pacchi, vista la sua capacità di frullare le diverse caratteristiche e punti vincenti dei suoi molteplici esponenti creando un songwriting proprio, dove ad ogni lezione corrisponde un’apprensione portata a termine. Un pensiero che è un punto di svolta su tutti i fronti, non solo quelli della produzione.
Là dove c’erano anche Guccini e Bennato si aggiungono il diletto, il ludico, la cattedrale di Winchester ed altre storie che sono di casa in quel de La polisportiva, solo una tappa in chiave western di un viaggio dove, come in una staffetta, si passano il turno la religione, la politica, Rino Gaetano e il Vasco Rossi degli esordi (viene in mente Sballi ravvicinati del 3° tipo) che vengono fuori nel ritmo che travolge la ballata Diversi dagli altri, lo Jannacci malinconico che permea Grappoli, Gaber e mariachi che vanno incontro in una Il nemico più attuale che mai, il country-blues della title-track e colpi di scena come il garage-rock di La nostalgia, l’impennata tribale, con tanto di galvanizzante conclusione, di L’altra, il groove di scuola disco ’70s di Senza canditi, fino a che le tinte noir con retrogusto etno-jazz che tracciano il profilo dei Criceti, con grazia, non chiudono l’album.
Cambiamenti che, per certi versi, non potevano essere estranei per colui che ha cominciato la sua carriera anche come uno dei primi batteristi dei Julie’s Haircut. Un passato che non muore mai per un disco come questo “Togliamoci il pensiero”, che, sembrerebbe un’eresia, eppure probabilmente è un disco punk, per quello che è il percorso di Frigieri. Punk in senso di attitudine, di voglia di continuare a fare quello che si sente dentro, di scrollarsi di dosso ogni preoccupazione. Un sentimento pienamente condiviso dagli ascoltatori, senza alcun dubbio.

Gustavo Tagliaferri

 

INTERVISTA (Quello con i numeri sono io che faccio le domande, l’altro è Gustavo che risponde)

1. Mi racconti la prima volta che hai fatto una recensione? Che disco era, che voto hai messo, chi è stato l’incosciente che ti ha dato fiducia e ti ha fatto scrivere?

Avevo 17 anni e scrivevo servendomi del sistema track-by-track, una tecnica di cui tutt’ora mi vergogno particolarmente, visto che non è quello più consono per quanto riguarda l’analisi di un disco. L’opera in questione era “Trama Tenue” di Ginevra Di Marco. Del 1999, sì, del resto era il 2007 e recensivo solo vecchi dischi in quel di DeBaser.it, sito dove ogni tanto ancora faccio un salto. Ho continuato su questa linea d’onda per un po’ di tempo, decidendo anche, ad un certo punto, di eliminare una volta per tutte quel dannato track-by-track, preferendo un’analisi generale di ogni singola opera, andando alla rinfusa per quanto riguarda l’ordine delle tracce e focalizzandomi sulle influenze, sulla verve, sui pregi e sui difetti, se presenti. Nel mentre già conoscevo, cosa avvenuta per caso, Marco Gargiulo, il deus ex machina di Mag-Music, e da lì, poco a poco, sono diventato quello che sono adesso. Pur nel mio essere uno scrittore mediocre.

2. Mi sembra che il disco ti sia piaciuto davvero tanto. Mi dici quali sono le canzoni più riuscite e perché, ma senza il linguaggio giornalistico. Insomma, me lo dici come se fossimo al bar davanti ad una birra?

Eccome se mi è piaciuto! Le canzoni più riuscite non so, quelle a cui tengo particolarmente senza dubbio (l’assolutismo non è un mio dogma quando parlo di certi ambiti artistici). Difatti mi vengono subito in mente “Il Nemico”, “L’Altra” e “La Polisportiva”. La prima la sento mia dal punto di vista non solo musicale, ma anche sociale, e sa essere proprio sociale senza perdersi in pinzillacchere nonsense, la seconda, nel mostrare un lato inedito del tuo modo di fare (con il contributo vocale di Riccardo Bregoli), lascia facilmente esterrefatti a tal punto da rimanere, al contempo, belli che soddisfatti, e la terza, un viaggio all’interno delle proprie memorie, riesce ad essere lo stesso viaggio di altre persone che ascoltano la tua musica, come me.

3. Come facevi a sapere che di tanto in tanto faccio una cover di “Sballi ravvicinati del terzo tipo” di Vasco Rossi?

Vuoi sapere la verità? Io non lo sapevo proprio! Io sono legato al Rossi di un tempo, dagli esordi fino a “Fronte Del Palco” incluso, e “Non Siamo Mica Gli Americani”, disco a cui sono tutt’ora affezionato, è stata una delle mie colonne sonore di un viaggio fatto prima della maggiore età, che se dovessi rifare sceglierei altre compagnie (basta con i parenti!). Ecco, una traccia su cui mi focalizzavo, ed oggi ora più che mai. era proprio questa. Non è da tutti i giorni ritrovare il mood di un brano simile in un album come il tuo…

4. Raccontami un rifiuto che ti è rimasto impresso, della tua vita. Una volta che ti hanno detto di no. Non importa l’ambito, che sia musicale o affettivo o che sia di quando ti hanno messo in panchina da piccolo nella squadra di pallone. Scegli tu.

Mah, così a due piedi è difficile stabilire quale. Diciamo che mi sono rimaste maggiormente impresse certe tristi storie avvenute tra le medie e il liceo, ma lì ammetto che la responsabilità era anche mia.
Musicalmente parlando, per fortuna, ricevo meno rifiuti…

5. Ci sarà qualcosa del disco che hai pensato potesse venir meglio. Qualcosa che hai detto “Ma che cavolata, da Frigieri non me lo aspettavo.” Sfogati pure.

Nulla. No, giuro, nulla che mi abbia fatto storcere il naso! Ci fosse stato lo avrei scritto pure, come faccio da tempo quando mi metto di buona lena a buttare giù pensieri.

6. Personalmente trovo che il termine “indipendente” sia stato usato come specchietto per le allodole talmente tanto che oggi sarebbe meglio dire “povero”. Tu cosa ne pensi?

Premettendo che non parlo quasi mai dell’uso di questo termine, perché preferisco focalizzarmi sul genere che fa un determinato artista, il problema non è essere indipendente, ma ben altro, e va dal fatto che ci sia qualcuno che sarà anche indipendente ma che fa musica che a me non attira al pensare che esistano solo un tot di nomi degni di nota nella scena made in Italy, fino al rischio di bollare tutto quello che ti cattura come “indie” diventa un vero e proprio harakiri. Se cito tra i più blasonati Dente, Brunori e Dimartino, che a me piacciono pure, dico che fanno pop con influenze d’autore, non li chiamo “indie”. Se devo parlare di indie parlo di indie rock, come i Pavement e i Grandaddy, giusto per tornare indie-tro (sic!) nel tempo, pur frugando nell’estero.

7. Di questa fantomatica “messinscena indipendente”, mi fai un nome che secondo te è sopravvalutato e uno che invece è sottovalutato?

Di sopravvalutatissimi dico senza alcuna remora i Nobraino. Sottovalutato? Eh, gli Elettrofandango sono i primi che mi vengono.

8. Argomentando, chiaramente.

I Nobraino, che un tempo mi incuriosivano pure, trovo siano l’unica mela marcia di una buona etichetta come la MArteLabel, in quanto a sound sono la brutta copia di altri progetti ben più interessanti e anche vocalmente non c’è proprio da essere felici. Certi (non tutti) li ricorderanno solo perché Lorenzo Kruger, il cantante, si è fatto la barba mentre cantava al concerto del 1° maggio di quest’anno. Io per fortuna ho provato ad andare oltre e posso confermare quanto sopra.
Gli Elettrofandango sono un vero e proprio uragano spaccatutto, quello che oggi il Teatro Degli Orrori non è, e mi ha sorpreso scoprire che sono anche molto amici di Remo Remotti. Non so se hai avuto modo di ascoltare “Achab”, lavoro che hanno pubblicato proprio quest’anno. Trovo sia qualcosa di fenomenale e ti anticipo che lo inserirò nella mia “”””classifica”””” (metto le virgolette perché non credo nelle posizioni, ma nel valore delle opere) di fine 2012. Come da mia precedente recensione, ad un certo punto sono gli Alice In Chains che incontrano i Neurosis…

9. Qual è il concerto più bello che tu abbia visto nella tua vita in assoluto e perché? Ovviamente racconta anche un particolare.

Nel corso di quest’anno ne avrò visti una marea, dopo aver fatto l’enorme errore (ancora me ne pento) di non girare per la mia città credendo di perdermi da un momento all’altro. Se dovessi scegliere, ne tirerei in ballo due a cui sono particolarmente affezionato, entrambi di quest’anno: il primo di inizio giugno, al Circolo Degli Artisti, che ha visto sullo stesso palco i Luminal e i Kardia, non solo per la bella musica che ho sentito, ma anche perché ho avuto modo di conoscere e rivedere tante persone a cui voglio un bene dell’anima, il secondo di metà luglio, al SuperSanto’s di San Lorenzo, con Giardini Di Mirò e Massimo Volume. In due ore la mia mente ha cominciato a volare in altre dimensioni…

10. Mi dici tre versi del disco che ti sono rimasti in mente in modo particolare? Tre versi e basta, sempre ammesso che tu riesca ad arrivare a tre. E spiegami pure il perché, naturalmente.

1) “Ah, che bei tempi quelli lì, non ne fan mica più di nemici così.” (“Il Nemico”)

Dovrei citare il testo completo, ma mi fermo solo su questo verso. Credo sia emblematico per chi, come me, ha capito la differenza tra chi è semplicemente una triste macchietta e chi invece è un vero e proprio despota. Potrei fare un esempio politico a proposito: la differenza tra Bettino Craxi e Mario Monti. Pur non essendo io un ammiratore di Craxi (sono troppo anarchico, o perlomeno ci provo, per esserlo), e pur ammettendo diversi suoi inciuci, non nego che qualche buona idea improvvisamente gli è venuta, perlomeno per quanto riguarda la tematica della sovranità nazionale e il rapporto con il Medio Oriente. Monti invece, da burattino dell’elite di banchieri, multinazionali e simili che non parla in mio nome, è un’incarnazione della distruzione, spacciato come alternativa ad un poveraccio come Berlusconi. E non lo dico io, lo dicono le testimonianze dei cittadini che non ci stanno, No TAV inclusi. Poi non stupiamoci se certe tematiche che erano tipiche dei movimenti rivoluzionari, oltre che della sinistra di un tempo, siano finite in mano o a gentaglia di estrema destra (magari gli stessi che ignorano che Mussolini se la faceva con l’elite di cui sopra, o perlomeno con certi suoi abbinati) o a frutti marci come Scilipoti (chi ha detto IDV?).
Veramente, è più facile riconoscere la triste macchietta piuttosto che il despota.

“Con l’espressione sempre più un po’ più seria di chi vuol solo chiudere con dignità la propria storia.” (“La Polisportiva”)

Sono le memorie di cui sopra che includono un invito ad andare avanti a testa alta fino alla fine del proprio ciclo. Un invito che non vale solo per “La Polisportiva”, per quanto mi riguarda, ma proprio per la vita in sé.

“…se tutti qui vogliono essere sempre diversi dagli altri, ma uguali tra loro.” (“Diversi Dagli Altri”)

Anche qui dovrei citare un intero testo. Quello di un brano che ondeggia tra teologia e sociale, che parla di necessità di capire chi si è veramente, senza ergersi a chissà quale alto livello solo per fare chissà quale bella figura. Nel più triste dei casi si finisce a fare la figura di chi non ha ancora capito cosa basta per stare in pace con se stessi, in quello più deprecabile si diventa parte di quella che io chiamo “la società dell’orrore”.

11. La domanda di rito a tutti quelli che sto intervistando a rovescio. Suoni uno strumento? A che livello? E se hai cominciato e mollato, racconta qualcosa a riguardo.

Suonavo, semmai. Mi sono dilettato qualche volta con la batteria, un po’ di più con la chitarra acustica e maggiormente con la tastiera, andando dal mediocre all’accettabile in quanto a risultati. Non ho mai avuto modo di provare l’esperienza di suonare in una band vera e propria, forse perché non ho mai sentito un input vero e proprio fare strada dentro di me.

12. Mi dici cosa ne pensi della grafica del disco, della copertina in particolare e che legami ci vedi con i temi trattati?

Trovo faccia da ciliegina sulla torta, sia in quanto ad artwork che nella scelta del formato digipack. Le scale facenti da copertina, per certi versi, le vedo come un collegamento proprio con “La Polisportiva”. Sono delle memorie le cui testimonianze scritte le puoi trovare in uno scantinato o in una soffitta senza neanche ricordare di averle ancora. Luoghi che possono anche diventare spunto di ispirazione per le canzoni a venire. Come da titolo: “Togliamoci Il Pensiero”!

13. Tre dischi e tre libri. Al volo, senza pensarci troppo.

Dischi: “The Downward Spiral”, Nine Inch Nails. “Dig Your Own Hole”, The Chemical Brothers. “Sanacore 1.9.9.5.”, Almamegretta.
Libri: “Favole Al Telefono”, Gianni Rodari. “Il Bar Sotto Il Mare”, Stefano Benni. “Parola Di Giobbe”, Giobbe Covatta.

14. Qual è stata la volta della tua vita nella quale, se ci ripensi, dici a te stesso che “quella volta sono proprio stato un bastardo”?

Ti dirò, pur avendo pensato in certi momenti di esserlo stato, forse non lo sono mai stato del tutto. Al massimo ci sono state occasioni in cui mi sono reso conto di aver avuto una certa responsabilità nei confronti di persone che non sono comunque state proprio corrette con me. Ma se quelle persone non si sono rese conto dei propri difetti è un problema esclusivamente loro, io cerco di capire dove ho sbagliato.

15. La cover che io farei benissimo, secondo te.

Che ne dici di qualcosa di Claudio Lolli? “Borghesia”, “L’Amore E’ Una Metamorfosi”, o persino “Notte Americana”…

16. Vuoi farmi una domanda tu? Giuro che rispondo.

Pensi che tra le tue tappe live future ci sarà anche qualcosa in quel di Roma? Magari in uno dei tanti locali di San Lorenzo. Se la cosa andasse in porto, ci sarebbe modo di incontrarsi dal vivo…

(E qui rispondo dicendo che mi piacerebbe molto e che magari, se qualcuno che ha un locale a Roma rispondesse a qualche messaggio invece di cazzeggiare… )