Qui le domande le faccio io: intervista alla rovescia con Carlo Bordone

Questa è la recensione di Bordone su DISTORSIONI e a seguire la chiacchierata via Skype, così come l’abbiamo fatta, coi refusi e tutto. Et voilà.

Togliamoci subito il pensiero: in ambito “nuovi cantautori italiani” (definizione fastidiosamente pedante, e proprio per questo abbastanza precisa), Giancarlo Frigieri è uno dei migliori. Per tutta una serie di motivi. Per cominciare ha le canzoni, e questo  non è un dato del tutto irrilevante. In molti si cantano addosso sbrodolandosi il colletto di retorica, oppure all’altro estremo barattano la capacità di comunicare con una presunta ”ricerca sul suono”. Frigieri, molto più modestamente, abbina musica e parole in modo che si sostengano a vicenda e che esprimano una visione del mondo , un frammento di realtà, un barlume di poesia.  In fondo è quello il senso dello scrivere canzoni. Parole e musica. Delle prime il nostro emiliano con la “r” gucciniana ne ha tantissime, e le sa usare con una abilità non comune. Le mette in rigorosa rima alternata, e se si pensa che questo alla lunga possa essere uno schema un po’ soffocante o semplicistico basterebbe citare un certo Bob Dylan che lo fa da cinquant’anni, con risultati – pare – soddisfacenti. I testi hanno ritmo, procedono  per associazioni efficaci nelle descrizioni e spesso evocative (un esempio: “quando te ne vai e fai entrare l’altra/io come un signore in epoca feudale/scelgo per me il taglio di carne migliore/e poi frano a valle sui detriti del tuo amore”),  e  spesso attingono a citazioni prese argutamente dallo stupidario linguistico e intellettuale nel quale siamo immersi (la “chiacchiera”, la chiamava Heidegger) per rielaborare un minimo di senso a cui aggrapparsi.  Pur non arrivando mai all’invettiva aperta, è evidente che Frigieri è un moralista. Intesa in senso alto, non è una parolaccia. Se avessimo la coda di paglia, vi aggiungeremmo subito l’aggettivo “gaberiano”, ma non lo facciamo perché l’apparente complimento nasconderebbe l’individuazione di un limite. Gaber – che rappresenta certamente un’influenza sulla poetica frigeriana, si pensi al titolo del disco che richiama un altro famoso calembour come “e pensare che c’era il pensiero”, oppure a frasi ultra-gaberiane come “una massa critica è pur sempre massa” – è stato un grande eretico ma anche uno snob inacidito, un borghese che lanciava strali alla borghesia più che altro perché si annoiava. Ecco, benché brani come Diversi dagli altri corrano il rischio di suonare moralisti nel senso peggiore del termine, con bersagli anche un po’scontati, Frigieri è tutt’altro tipo di artista e di osservatore. Lo dimostra una canzone come La polisportiva, bello squarcio di vita popolaresca da Guareschi redivivo– badanti ucraine, vecchi ex ballerini, comari che tagliano i panni alle spalle e in sottofondo le note di Winchester Cathedral – oppure i ritratti di persone consumate dalla routine del lavoro di Criceti, oppure ancor la poesia dell’ebrezza evocata in Grappoli. E la musica? C’è anche quella, e per fortuna  non si limita allo strimpellamento voce chitarra. Rispetto agli album che lo hanno preceduto – L’età della ragione, Chi ha rubato le strade ai bambini? e I Sonnambuli – questo è quello che denuncia maggiormente le origini rock di Frigieri (quando cantava in inglese con i Joe Leaman). La nostalgia e la parte finale di L’altra sono incalzanti e persino dure,  mentre il r’n’r/folk di Togliamoci il pensiero fa venire in mente il miglior Bennato. Altrove gli arrangiamenti provano a battere strade inusuali: l’indolenza da mariachi misto Casadei de Il nemico, il funky leggero di Senza canditi. Il pregio più grande rimane comunque l’accessibilità melodica, al servizio di concetti sui quali si può anche non essere d’accordo ma sempre espressi in modo chiaro e diretto.  Musica e parole di Giancarlo Frigieri. Uno che ha delle cose da dire, e le sa dire sempre meglio.

carlo bordone 12.40
io sono qua

GiancarloFrigieri 12.40
due secondi che apro ai cani, che devono pisciare. Preparo una tisana ai 700 all’ora e arrivo

carlo bordone 12.40
sto qua

GiancarloFrigieri 12.42
regola base. quando uno ha finito dice (finito) tra parentesi, così l’altro può cominciare, ok?
(finito)

12.44
Ci sei?

carlo bordone 12.45
eccomi
(finito)

GiancarloFrigieri 12.45
Allora, cominciamo:

carlo bordone 12.45
vai vai, che so’ caldo

GiancarloFrigieri 12.46
Per cominciare. La tua recensione. L’ho letta. Manca il tuo codice IBAN. Nel senso che quando l’ho letta ho pensato di doverti qualcosa. Davvero pensi così bene di me?
(finito)

carlo bordone 12.48
penso bene del disco, non di te. ah ah, scherzo. beh, sì, il disco mi è piaciuto. anche più degli altri prima, che già avevo apprezzato (sopratutto I Sonnambuli). se non mi fosse piaciuto lo avrei scritto (comunque l’IBAN te lo mando via sms)
(finito)

GiancarloFrigieri 12.49
Ho letto però un commento su Gaber che personalmente non condivido. Come mai pensi che fosse un vecchio borghese inacidito e annoiato?
(finito)

12.53
(Sei vivo?)

carlo bordone 12.54
Eh eh, lo sapevo che me l’avresti chiesto. Beh, lo era, soprattutto nell’ultima parte della sua vita: vecchio, inacidito e (questo in raltà lo era da almeno 40 anni) borghese. La vena delle prime cose di teatro-canzone si era inaridita in un fastidio generalizzato da brontolone con la papalina in testa. Arrivo a dirti che era pure diventato reazionario tout court, toh. Poi è chiaro che si dovrebbe valutare quanto c’è di suo e quanto di Luporini, ma a me certe frasi come “mi fanno tristezza le file fuori dai musei con i panini” (cito a memoria, forse le parole non erano esattamente quelle ma il senso sì) mi fanno girare i coglioni.
Sono espressione di un pensiero elitario, che vuole distinguersi dalla massa in modo forzato.
Non ci sono neanche più il nichilismo e la disperazione di Io se fossi Dio. Solo noia, appunto.
(scusa gli errori di battitura, ce n’è almeno uno ogni riga)
(finito)

GiancarloFrigieri 12.57
A me quella frase lì invece è sempre piaciuta tantissimo. Diceva “mi dà malinconìa”. Penso intendesse dire che la cultura è un percorso individuale e che volerla imporre alla portata di tutti è una forzatura. Non perché ci siano persone più intelligenti di altre, quanto perché è appunto una scelta personale, quella di acculturarsi. Nella “fila con i panini” si scorge bene questa voglia di assumere la cultura quasi per osmosi, senza fatica. Ma qui se vuoi possiamo parlare per secoli e parlare solo di questo, quindi parlerei anche di altro. Vuoi?
(Finito)

carlo bordone 12.59
Voglio. Abbiamo interpretazioni dverse di quella strofa, e anche la tua può starci benissimo. Si potrebbe continuare con altre, da “io non mi sento italiano” in giù, ma siccome non mi sono preparato su Gaber, preferisco rispondere su Frigieri, che è l’argomento dell’esame.
(finito)

GiancarloFrigieri 12.59
Anche tu avrai, come noi che suoniamo, le domande che non sopporti più ma alle quali devi rispondere, quindi provvedo subito. Ma che cazzo ti saltò in mente di stroncare “Ok Computer”? Io che quel disco lì era bellissimo lo avevo capito subito al primo ascolto di quando arrivò nella radio dove trasmettevo.
(finito)

13.04
Minchia, Guglielmi a confronto era Usain Bolt

carlo bordone 13.05
Quando va in prescrizione il reato di leso-Radiohead? Ci mette più di quelli per mafia, mi pare. Allora, quel disco non mi piaceva allora e continua a non piacermi adesso (mente invece Kid A e Amnesiac li ho apprezzati molto). Non era per fare il figo, tra l’altro quando uscì quell’album la radiohead-mania non c’era ancora, erano considerati un bel gruppo pop inglese, c’era curiosità sulle loro prossime mosse e tutto quanto, ma nessuno poteva prevedere il peso che avrebbe avuto Ok Computer. La mia non fu uan stroncatura sulla abse di un pregiudizio o di un’antipatia congenita, e neanche una roba di pancia. Ricordo che ascoltai la cassetta (allora mandavano quelle) per tutto un weekend, e a ogni asoclto il fastidio saliva sempre di più. Per me era, ed è, un disco lamentoso, pesante, retorico. Con delle splendide aperture di chitarra, questo sì, ma il resto è un macigno.
(sì, ma guarda che risposte che ti do…)

GiancarloFrigieri 13.05
AHAHAHA
Scusa. Finito?

carlo bordone 13.05
yes

GiancarloFrigieri 13.05
Posso pubblicarla così, con tutte le cagate?
(finito)

carlo bordone 13.06
Fanne cò che vuoi, ma almeno i refusi correggili, dai.
CIO’

GiancarloFrigieri 13.06
Si. Hai detto MENTRE INVECE, ad esempio. E’ pleonasmo. A scuola me lo segnavano con la biro rossa

carlo bordone 13.07
io andavo dalle suore, erano meno severe
anche se menavano come delle assassine

GiancarloFrigieri 13.07
Comunque, io che era un capolavoro lo avevo capito. Peraltro quando sentii “The bends” la primissima volta dissi candidamente “Bon, questi sono il classico gruppo da una canzone e via”
salvo poi ricredermi dopo qualche mese, quando ascoltai come si deve il disco.

carlo bordone 13.08
va beh, dai, sticazzi dei Radiohead, no?

GiancarloFrigieri 13.08
Si, si. Era per chiacchierare.

carlo bordone 13.08
chiedimi che tempo fa a Torino

GiancarloFrigieri 13.08
Qual è la canzone del disco che ti piace di più?
Non dei radiohead

carlo bordone 13.09
La polisportiva
e Grappoli

GiancarloFrigieri 13.10
Mi tiri fuori una definizione musicale in una riga per “La polisportiva”? Una roba come fate voi critici quando dite “I Ministry suonati dai Blur che vanno a braccetto con Caetano Veloso”
(finito)

carlo bordone 13.10
De Gregori che si beve un bicchiere di rosso con Guareschi
(finito)

GiancarloFrigieri 13.11
Insomma, De Gregori.
AHAHAHAHA

carlo bordone 13.11
Ma anche Guareschi
a me De Gregori non piace, tra l’altro

GiancarloFrigieri 13.12
Ricordo che dicesti meraviglie di un’edizione del Traffic con De Gregori e Bennato.

carlo bordone 13.12
ah ah ah. sì. fu la pietra tombale del Traffic.
che poi boh, manco me lo ricordo se suonò davvero de Gregori
(finito)

GiancarloFrigieri 13.13
Suonò. Penso con la DOnà e con Brondi, pure. Ma passiamo oltre. “Grappoli” invece, di che pensi che parli? Perchè è uno dei pochissimi casi dove lascio un poco di interpretazione a chi ascolta e volevo sapere, visto che ti è piaciuta, che tipo di storia ti eri immaginato.

13.15
(finito, scusa. Così hai la scusa per averci messo così tanto mentre andavi a rileggerti il testo che manco te lo ricordi)

carlo bordone 13.15
mah, una situazione tipo Festen, durante una cerimonia famigliare (matrimonio, penso) qualcuno che ne ha bevuto uno di troppo fa rivelazioni che non dovrebbe fare. tragedia. troppo letterale? magari è una metafora per il fatto che ci teniamo dentro cose che non vogliamo esprimere neanche a chi ci sta più vicino, e solo in stato di ebbrezza vengono fuori
non è vero, il testo lo ricordo così bene che ti dico un’altra cosa che ho pensato al primo ascolto. la strofa di apertura mi ha ricordato “A 1000 dollar wedding” di Gram Parsons

GiancarloFrigieri 13.17
Ok, direi che ci siamo quasi. Nel senso che a dirti la verità manco io so esattamente come va a finire. Dei giorni mi immagino una cosa, dei giorni un’altra.  Sono anche piuttosto orgoglioso di quel testo lì. Il pezzo di Parsons non lo conosco, la somiglianza la intendi musicale o testuale?

carlo bordone 13.17
testuale

GiancarloFrigieri 13.18
Ah, ok. Perché altrimenti c’era da farci una puntata di Voyager

carlo bordone 13.19
lì però la storia è molto più tragica
vengono a dire allo sposo che lei è morta

GiancarloFrigieri 13.19
Porca troia. No, lì non muore nessuno. In “Grappoli” al massimo a canzone finita possono volare due scapazzoni. Mi sembra invece che non ti sia piaciuta più di tanto “Diversi dagli altri” che ai concerti prende benissimo chiunque, invece. E’ per via del testo o è soltanto perché è in tonalità maggiore e gioca con le prime, le quarte e le quinte.
(finito)

carlo bordone 13.20
sì, la canzone funziona. ma non mi piace troppo per il testo, il perché lo spiego nella recensione
(finito)

GiancarloFrigieri 13.21
ok. Hai mai provato a suonare qualche strumento?
(finito)

carlo bordone 13.21
ovviamente no

GiancarloFrigieri 13.21
mai neanche la tentazione?

carlo bordone 13.21
la chitarra a 14 anni, come tutti, ma ho mollato subio
meglio il pallone

GiancarloFrigieri 13.21
Ok, la chitarra. Mi dici che accordi sai fare?

carlo bordone 13.22
che ne so, sono passati trent’anni da quando ci ho provato

GiancarloFrigieri 13.22
buio totale proprio?

carlo bordone 13.23
certo. ma capisco il sottotesto della domanda, al quale rispondo mostrando tutta la mia coda di paglia con la frase migliore che ho sentito al riguardo: “non devi essere una balena per scrivere Moby Dick”
(finito)

GiancarloFrigieri 13.24
Volevo solo curiosare. Anche perché l’analogìa è sbagliata. “Moby Dick” è una chitarra o addirittura la musica, non il musicista.
Comunque ripeto, solo curiosità. E’ che se ti ricordavi un Re e un Sol, la prossima volta che venivo a torino potevamo fare almeno 7/8 canzoni degli Spacemen 3 insieme

carlo bordone 13.25
posso fare quello che balla, tipo Bez o Repetto

GiancarloFrigieri 13.26
A me ogni volta che nominano Repetto viene in mente quello che giocava nel Pescara.

carlo bordone 13.26
non ha giocato anche nell’Ascoli?

GiancarloFrigieri 13.26
Boh, può essere.
Sul calcio dei ’70 sono piuttosto ferrato. Ho passato l’infanzia sugli almanacchi Panini, sai… Modena e Sassuolo sono vicine. Li ho sfogliati al limite dell’autismo.
Poi è arrivato Google

carlo bordone 13.28
Gli almanacchi Panini sono una splendida lettura da cesso

GiancarloFrigieri 13.28
e quindi non serviva più a far gran figure in società dire cose del tipo “In finale nel 38 per l’Ungheria segnarono Titkòs e Sàrosi”
Insomma, si stava meglio quando si stava peggio.

carlo bordone 13.28
come sempre

GiancarloFrigieri 13.28
A proposito. “La nostalgia”
ti è piaciuta, ho letto. Non ti aspettavi un pezzo così punkettone?

carlo bordone 13.29
no, e neanche le urlate in L’altra

GiancarloFrigieri 13.29
Le urla ne “L’altra” non sono mie, hai letto il libretto vero?

carlo bordone 13.29
no, non avevo letto i credit

GiancarloFrigieri 13.30
(Ecco, lo sapevo, non l’ha letto. Poi dicono “Il fascino dell’oggetto” e blah blah blah)

carlo bordone 13.30
vedo che ci sono ancjhe i clacsonisti
è il violetto su nero che complica le cose. hai voluto fare il raffinato, eh?

GiancarloFrigieri 13.31
Eh si. C’è un filmato su Youtube, se digiti il mio nome e il titolo dell’album, dove c’è una scena della realizzazione. Per il violetto devi dirlo al tuo conterraneo Davide Tosches, che è responsabile del libretto.

carlo bordone 13.31
ahia

GiancarloFrigieri 13.31
Le foto invece sono di quella santa donna di mia moglie

carlo bordone 13.31
ritiro tutto, allora

GiancarloFrigieri 13.32
Comunque, le urla le fa Riccardo Bregoli, un ventenne di FInale Emilia che canta nei Red Line Season, un gruppo tutto tempi dispari, stacchi e urla da ossesso. Roba tipo At The Drive In prima maniera, per intenderci.
Mi dici un disco che per tutti è fondamentale e invece per te è una mezza cagata? “Ok computer” non vale, già sappiamo.
(finito)
Poi te ne dico uno io, se vuoi.
(finito davvero)

carlo bordone 13.34
Mellon Collie. Master of Puppets. qualunque cosa dei Depeche Mode.
e parecchia roba di De ANdré

GiancarloFrigieri 13.35
Apprezzo il coraggio. Scegline uno solo.

carlo bordone 13.35
Master of Puppets. ODIO i Metallica

GiancarloFrigieri 13.35
Hai 5 righe per dire perché odi i Metallica. Senza pensarci. Furore puro. Vai.

carlo bordone 13.36
mi fa schifo come cantano, come suonano, come si vestono, e comunque un gruppo guidato da un ex tennista non ha nessuns enso a prescindere

GiancarloFrigieri 13.37
Oddio, non è che hai argomentato granché. Nel senso che sembra un “perchè no no e no”

carlo bordone 13.37
l’odio non si argomenta

GiancarloFrigieri 13.38
Ok, ci può stare. Ma neanche l’album nero?

carlo bordone 13.38
no

GiancarloFrigieri 13.39
Sai come si chiama un pezzo nuovo che ho scritto?
(occhio)

carlo bordone 13.39
Metallica?

GiancarloFrigieri 13.39
“Il fruttivendolo con la maglietta dei Metallica”
Giuro

carlo bordone 13.39
che immagine orribile

GiancarloFrigieri 13.39
AHAHAHAHAHAHAHA

carlo bordone 13.40
anhce se “il macellaio con la maglietta di ok computer” era peggio

GiancarloFrigieri 13.40
E’ un’immagine reale. E’ il figlio del fruttivendolo che ha il furgonazzo davanti al posto dove lavoro. Un giorno esco e c’è lui chinato sulla verza, sudatissimo, con una maglietta di “Ride the lightning”.
Ho pensato subito “Che titolo della madonna”
Comunque
Tu mi hai visto suonare dal vivo. Due volte, se non erro.
Giusto?

carlo bordone 13.41

GiancarloFrigieri 13.42
Mi dici due personaggi della cosiddetta “scena indipendente” che dal vivo “mi battono” e due che invece “non sono neanche degni di allacciarmi le scarpe”?

carlo bordone 13.42
italiani?

GiancarloFrigieri 13.42
Si, si
E’ per seminare zizzania
(in realtà è per farsi due risate, ma non ride mai nessuno di queste cose e quindi finirà che qualcuno si offende, magari)

carlo bordone 13.44
quelli che ti battono: Benvegnù e Samuel Katarro (che non si chiama più così, ma vabbe’)
gli altri…dai, dobbiamo proprio?

GiancarloFrigieri 13.45
No, se hai paura fa niente, finiamo qui.

carlo bordone 13.46
che fai, sfidi?
ok, no problem. Canali, Le Luci della Centrale Elettrica

GiancarloFrigieri 13.47
(arrivo, un attimo che ho mio fratello al telefono)

carlo bordone 13.49
(comincio a sentire un certo languore pre-prandiale)

GiancarloFrigieri 13.49
Ok, adesso ti mollo.
Volevo soltanto chiederti, in chiusura. Ma come mai state ancora qui a parlare di etichette, distribuzione, cose così e non vi attentate mai a sparare un poco di cifre su quei quattro gatti che ascoltano musica dal vivo nella “messisncena indipendente”?

carlo bordone 13.51
lo abbiamo fatto, mi pare

GiancarloFrigieri 13.51
???

carlo bordone 13.52
ma cosa intendi?
non c’è bisogno di un’indagine sociologica, quando dichiari che come giornale vendi 6-7000 copie
quando vent’anni prima ne vendevi 25000

GiancarloFrigieri 13.53
Del tipo che spesso leggo robe del tipo “Esce in una edizione limitata e numerata a mano di 500 copie” in una recensione. E penso sempre “Perchè di più non le vendono di sicuro”

carlo bordone 13.53
va beh, non è che uno sta lì a specificarlo tutte le volt

GiancarloFrigieri 13.53
Si, ci mancherebbe.

carlo bordone 13.54
del resto è così, si sa. se uno vuole starne dentro ci sta, se no fa un’altra roba

GiancarloFrigieri 13.55
Ultimissima domanda: Visto che preparando questa chiacchierata ho imparato che hai le videocassette dell’Olanda del 1974 e visto che io ho i DVD dell’Olanda del 1974, cosa che mi ha fatto sorridere non poco. Qual è la tua partita preferita di quelle degli Orange? E poi, io credo che la Germania Ovest abbia meritato di vincere quel mondiale, dopo aver rivisto la finale più volte. Tu no?

carlo bordone 13.57
la partita più impressionante fu quella con l’Uruguay, credo la prima. immagino abbai avuto un effetto shock su chi guardava la tv. a un certo punto si vedono tipo sei o sette olandesi che si avventano su un poveraccio di uruguayano che portava palla. signore e signori: il pressing.
sì, tutto sommato la Germania ha meritato in quella partita, ma esteticamente è stato un peccato

GiancarloFrigieri 13.58
Si, lo so.
Vado a rivedermi la partita con l’Uruguay, non fosse altro che per vedere tutte le volte che ci sono almeno 5 maglie celesti in fuorigioco. E’ stato un piacere Sig. Bordone.

carlo bordone 13.59
Giancarlo, la mia signora mi reclama a pranzo

GiancarloFrigieri 13.59
Che c’è di buono?

carlo bordone 13.59
arrostino

GiancarloFrigieri 13.59
(Vada, scherzo. Vada. E saluti alla signora)

carlo bordone 13.59
è stato un piacere, come sempre. ma il Sassuolo non te lo guardi?

Qui le domande le faccio io: intervista alla rovescia con Federico Guglielmi

Questa è la recensione di Togliamoci il pensiero scritta da Federico Guglielmi per il Mucchio di Novembre:

Da quando ha “scoperto” i testi in italiano, cioè da quel 2009 in cui ha debuttato nella lingua nazionale con L’età della ragione (dopo l’esordio solistico e quattro dischi alla guida dei Joe Leaman, tutti in inglese), Giancarlo Frigieri confeziona un album all’anno. Quest’ultimo, il primo non autoprodotto, inquadra efficacemente le numerose sfaccettature della poetica del cantautore rock emiliano: nelle musiche mai così eclettiche e “colorate”, nei testi (ora più ispirati dalla società in cui viviamo che non dalla sfera privata) sempre in bilico – con ironia – fra disillusione e deplorazione, in un approccio di fondo volutamente un po’ sgraziato e imperfetto come nell’indole del suo personale eroe Bob Mould (o come, ma il paragone è quasi solo attitudinale, Federico Fiumani). Nei nove pezzi di Togliamoci il pensiero c’è parecchio Giorgio Gaber, c’è cinismo senza possibilità di redenzione, ci sono anche dettagli non pienamente a fuoco e piccole cadute di tono… ma alla fine ogni cosa ha il sapore agrodolce della genuinità e della coerenza.

Intervistare Federico Guglielmi significa intervistare uno dei nomi storici della critica musicale italiana. Guglielmi mi sembra di averlo sempre letto da quando leggo di musica, e oggi che mi trovo in chat con lui per inaugurare il giro di “interviste alla rovescia” è un poco come alla prima mano di una partita di Briscola trovarsi l’asso in mano e calarlo all’istante. Allo stesso tempo è un poco come l’imprimatur papale: se va bene farla con Guglielmi, anche le altre “religioni” non oseranno dire di no. Ecco qui il resoconto di una chiacchierata via skype, dove si parla di musica ma anche di puttanate. Una chiacchierata integrata con qualche domanda via mail il giorno successivo, visto che siamo due persone piuttosto impegnate.

Prima domanda: Hai parlato nella recensione di “suoni mai così colorati”. Cosa intendevi dire?
Che, rispetto ai tuoi standard, si avvertiva una maggiore ricchezza sonora, sia in termini di quantità (quindi, arrangiamenti più ricchi), sia di qualità (più brillantezza, più sfumature).

Mi dici la porcata più grande che hai fatto ad una donna con la  quale stavi e che lei ancora non sa?
Non lo direi mai neppure sotto tortura. Comunque, nulla di cui debba seriamente vergognarmi o che io stesso non abbia probabilmente subito.

Ho visto che ti sei tolto dei sassolini dalla scarpa, ultimamente. In un ambiente dove nessuno parla mai male di nessuno se non dietro le spalle, questo ha causato un bel putiferio. Personalmente ho trovato lo sfogo su “Lo stato sociale” assolutamente sbagliato. Mi spiego meglio: quel pezzo lì non piace nemmeno a me, però mi sono venuti in mente quei discorsi che si leggevano sulle pagine dei vari “Gong” e “Muzak” quando i vecchi soloni della critica inseguivano la Musique Concrète e il Free Jazz, dicendo che i Ramones erano solo dei poveri fessi che non sapevano suonare e facevano tre note. Il che era vero, ma oggi i Ramones sono considerati giustamente un classico, grazie ai giovani che si affacciavano al mondo della critica all’epoca (che eravate poi voi). Insomma, corsi e ricorsi?
All’epoca del primo punk, per fortuna, non esistevano Internet e social network… ci fossero stati, il punk sarebbe morto nella culla perché sarebbe stato stambiato per l’ennesima pagliacciata o miseria di stagione. Figurati che può mai fregare, a un punkettaro come me, che quelle nullità non sappiano suonare… il punto è che certe esperienze musicali e culturali – mi riferisco alla New York dei ’70, ma anche alla Londra di poco dopo – nascevano spontaneamente e, comunque, derivavano da “spinte” un po’ più consistenti della speranza di essere recensiti da Rockit e di suonare al Miami. Dopo il tuo paragone, Joey, Johnny e Dee Dee si stanno rivoltando nella tomba…. e pure Malcolm McLaren, nonostante lui sia stato un pianificatore: una cosa è il situazionismo e un’altra la merda, consentimelo.

Mi dici quali sono le canzoni che ti sono piaciute di più nel mio disco? Un paio di titoli, oppure di più se sono di più quelle che ti hanno colpito particolarmente.
Insomma, mi è parso un disco più curato, nel complesso…

Mhhh… fai l’evasivo… Quante volte te lo sei ascoltato? La verità.
Ma dammi il tempo di rispondere! L’ho ascoltato sei o sette volte. Comunque “Togliamoci il pensiero”, “Il nemico”, “L’altra”, “Criceti”. Se vuoi ti dico anche che non mi piace “Senza canditi”,

Spiega perché. Usa pure la scimitarra.
Non è un discorso di testi. Non mi convinci con una base fusion.

Fusion? Uno prova a copiare spudoratamente James Brown ed esce fuori una base fusion? Allora ho sbagliato qualcosa. Pensa che un tuo collega mi ha detto che lì sembro Daniele Silvestri.
Penso che tu abbia compiuto, in generale, uno sforzo di eclettismo musicale. È un pregio ma può anche essere considerato un difetto, se le cose non vengono – a pare di chi ascolta – bene. Fusion era improprio, la fusion è più “leccata”. Diciamo che hai fatto una base funk-jazz. Non mi ha convinto. Sì, poteva essere un po’ Silvestri, ma lui è più pop. Quindi, per rispondere alla domanda di prima su cosa non mi è piaciuto… Secondo me hai provato a essere più vario, e non tutto ti è riuscito benissimo. Cosa che ci sta.

I cinque dischi da isola deserta che hai scritto nel corso degli anni e che oggi non ti porteresti assolutamente dietro. (Questi vanno scritti al volo, senza pensarci troppo, così poi puoi pentirti ulteriormente)
Non penso che potrei mai rinnegare le mie scelte di dischi da isola  deserta… Cioè… “Goodbye And Hello” di Tim Buckley, “Velvet Underground And Nico”, il primo degli Stooges, il debutto solistico di Stan Ridgway, “Crossing The Red Sea With The Adverts”, “Forever Changes” dei Love… come fai a toglierne anche solo uno? Sono molto serio anche in questi “giochini”, ci rifletto parecchio su, e difficilmente cambio idea. Magari un giorno potrei esprimere preferenze differenti, ma non ce n’è nessuno che potrei abiurare al punto di non volere assolutamente portarmelo più dietro.

Non abbiamo ancora parlato dei testi. Quali sono i testi che ti sono piaciuti di più e scendendo nel dettaglio, dimmi cosa ti è piaciuto di quei testi, se c’è qualche verso nel quale ti sei proprio identificato.
Mi piacciono più o meno tutti, e amo il fatto che siano piuttosto lunghi e articolati… oltre spesso gaberiani. Adoro, in particolare, quando dai addosso al clero. Se devo citarne uno dico quello di “Criceti”, meravigliosamente amarissimo. Un paio di versi? “Frano a valle sui detriti del tuo amore”, “i nostri fossi sono pieni di salti sbagliati”… quando ti ci metti sei un maestro di desolazione, più di te solo Claudio Lolli.

Per quanto riguarda i testi, nella recensione hai parlato di cinismo. È una cosa che mi dicono in tanti mentre io onestamente non mi sento per niente cinico. Certo, il gusto sarcastico e dissacrante del voler sempre dir la mia è una cosa che ho, ma non credo sia cinismo. Puoi spiegarmi perché hai usato quella parola lì?
Tendi a tirar fuori concetti molto espliciti, e il modo in cui li esprimi/canti non danno l’impressione che ciò che racconti ti faccia particolarmente soffrire. Prendi atto che tante, troppe cose non ti piacciono, ma in fondo non te ne frega nulla. Magari è solo disincanto, ma l’impressione del cinismo c’è. A me arriva come cinismo, seppur non sempre terribilmente caustico.

Cacchio, mi sa che comunico esattamente il contrario di quello che vorrei comunicare. Dannata eterogenesi dei fini! Cambiando discorso: su “Fuori dal mucchio” recensite tantissimi dischi e pochissimi concerti. L’impressione che se ne riceva è che “dei dischi in fondo posso anche parlartene bene, ma col cacchio che vengo a vedere un tuo concerto che farai schifo, brutto dopolavorista della musica.” Quanto ci ho preso e quanto no?
Sulla rivista, in “Fuori dal Mucchio”, recensiamo solo dischi, perché nove al mese su centocinquanta che mi arrivano sono già pochi… anche se una selezione accurata è meglio del dare spazio a chiunque. Per quanto riguarda il “Fuori dal Mucchio” in Rete, ormai fermo da quasi un anno, le recensioni dal vivo erano in effetti poche… ma non era una scelta strategica. Io vedo tantissimi concerti di area “Fuori dal Mucchio”, e così gli altri collaboratori… credo che, in generale, scrivere report di concerti non piaccia granché a nessuno. Credo, eh. A me, detta papale papale, rompe le palle: amo assistere ai concerti, ma se devo preoccuparmi della scaletta o di prendere appunti me li godo meno.

Non pensavo che non piacesse a nessuno. Comunque, mi hai convinto.Giuro, senza ironia. Ma il criterio di un disco su “Fuori dal mucchio” qual’è esattamente, se c’é? Ho visto dischi autoprodotti e dischi su major.
Su “Fuori dal Mucchio” vanno emergenti, autoprodotti, esordienti, sotterranei, di culto, sfigati assortiti (detto con ironia, va da sé). Sul giornale “normale”, al di là delle “star” conclamate, occasionalmente “proòuovo” gente di “Fuori dal Mucchio” che sta emergendo più concretamente o avrebbe tutte le carte in regola per aspirare a qualcosa di più: non parlo solo di qualità della musica ma anche di carisma, motivazioni, genere più appetibile, strutture di sostegno professionali. E poi non posso riempire ogni numero del Mucchio di italiani, sono troppi.

Sì, sì. Nessuno dice di riempire il giornale di italiani. Anzi, siete stati i primi a dare spazio a noi sfigati assortiti, a parte le finestrelle sui demo e questo penso vi vada riconosciuto. Mi interessava sapere se “facevate un po’ come cazzo vi pare”, cosa che sarebbe peraltro legittima, secondo me.
La “linea” è mia, ma ovviamente tengo conto dei preziosi suggerimenti dei miei collaboratori. Però, lo ribadisco, c’è un metodo: dall’esterno non è sempre facile capire quale sia, ma sarei in grado di spiegare ogni singola scelta compiuta. Scelta che magari, in qualche circostanza, può anche essere stata “sbagliata”, sia chiaro.

Cosa ne pensi del crowdfunding? A me sembra un inganno colossale. Ho scritto anche un post fresco fresco sul mio sito che uscirà tra qualche giorno. Mi sembra che si voglia mettere a pagamento tutto facendolo passare per un favore. Perché le “chiacchierate via skype” date come premio? E poi che premio è pagare in anticipo qualcosa che invece puoi permetterti di pagare alla consegna? E gli “accessi nel backstage”? Ma chi si credono di essere? Non sta tutto in antìtesi con quel sistema di valori che una volta si definiva “indipendente”?
Il sistema di valori del quale parli, ammesso che sia mai davvero esistito, non c’è quasi più, fatta salva qualche lodevolissima eccezione. Rispetto al crowdfunding, per come la vedo io è solo l’ennesima “brillante” trovata per farsi pubblicità e sommergerci ulteriormente sotto inutili dischi di merda. Non avere voglia – perché è di voglia che si tratta, non prendiamoci per il culo – di investire poche migliaia di euro nel proprio progetto musicale è a dir poco ridicolo. Nonché un’ulteriore dimostrazione di come, ormai, il disco sia un concetto svalutatissimo. Sia chiaro, contribuirei anch’io all’album di qualche genio incompreso che fa il barbone, ma mai darei un solo euro a qualche figlio di papà che trova  “cool” chiedere l’elemosina ai suoi fan. Andate a lavorare, cialtroni.

Mi spieghi che cacchio vuol dire “suoni stratificati”? Lo usate tutti. E che significa usare “destrutturazione della forma canzone” se poi quando vai a sentire la canzone c’è la strofa e il ritornello? Insomma, ma ‘sti critici musicali se non sanno di musica, di cosa scrivono?
Ahahahah… sì, capisco, in effetti alle volte saltano fuori espressioni di “slang da addetti ai lavori” che possono risultare un po’ fumose. Fondamentalmente, per come l’ho capita, si parla di “stratificazione di suoni” quando in un pezzo si butta dentro un sacco di roba, spesso tutta assieme. La destrutturazione sarebbe un modo anomalo, non classico, di organizzare una canzone.Che so, Le Luci della Centrale Elettrica destruttura, i Numero6 no. Poi è vero, però, che molti colleghi o aspiranti tali usano questi termini un po’ alla cazzo… ma che pretendi, ci sono tanti sedicenti giornalisti musicali che non solo conoscono al massimo trecento dischi, ma hanno anche un rapporto seriamente conflittuale con la grammatica e la sintassi di base.

Eh, appunto. Mi sembra ci siano dei termini di moda, che si usano per quattro o cinque mesi senza sapere bene cosa vogliano dire, poi si passa ad altri. Mi chiedevo “ma dove li leggono”?
È vero, è così. Te ne racconto una?

Come resistere? Spara.
Per decenni tutti, ovunque, hanno scritto, a proposito di un’etichetta, DELLA Warner, DELLA Urtovox, DELLA Controrecords… Mesi fa, all’improvviso, tre o quattro dei miei collaboratori hanno iniziato, più o meno all’unisono, a scrivere DI Warner, DI Urtovox, DI Controrecords. Ho chiesto spiegazioni, e nessuno ha saputo darmene. Io ovviamente ho rimesso i DELLA. Come quando qualche testa di cazzo ha deciso che DECADE era sinonimo di DECENNIO: cosa che non era ma ormai, per uso comune, sta purtroppo diventando.

Mi sembra un poco “Oltre il giardino” con Peter Sellers. Ma andiamo oltre. Un amico al quale ho fatto leggere la tua recensione, mi ha detto che secondo lui a te il disco è piaciuto ma non ti ha fatto impazzire, quindi hai iniziato a scrivere cose del tipo “coerenza” eccetera perché così arrivavi in fondo.
Ma no. Non è per arrivare in fondo. Che il disco abbia qualcosa che secondo me non gira perfettamente l’ho scritto con chiarezza. Ho però voluto inserire elementi positivi oggettivi. Se non sapessi come portare a termine dignitosamente 1050 caratteri sarei un giornalista penoso, non credi? Ho scritto esattamente quello che mi sembrava giusto scrivere, nel bene e nel male.

L’ultima volta che hai fatto a pugni? Hai cominciato tu o ha cominciato lui?
Circa venticinque anni fa. Ha cominciato lui, anche da ragazzo ho sempre usato la violenza fisica solo se costretto, come ultimo strumento di difesa.

Hai mai provato a suonare uno strumento? Se sì, a che livello sei arrivato e qual era lo strumento? Insomma racconta…
La chitarra, la batteria e le tastiere, ma mi sono fermato quasi subito perché ho capito che non facevano per me: non mi sapevo coordinare bene e non riuscivo a mantenere la concentrazione. Non ho comunque rimpianti, il non saper suonare non mi è mai mancato.

La festa delle forze armate, Neil Young, Treni.

Ho fatto il servizio militare.
E sti cazzi, si lo so.
Ho fatto il servizio militare quando era ancora obbligatorio. Quando dico questa cosa qui mi sento dire per il 99% delle volte “Tu? Non lo avrei mai detto.” Sono partito dalla stazione di Modena il 19 Agosto dell’anno di grazia 1993 verso Trieste, primo reggimento fanteria San Giusto. All’epoca c’era la guerra in Jugoslavia, anzi in Iugoslavia con la I, come era scritto sui cartelli stradali di Trieste appena usciti dalla stazione e montati in cima al pullmann che ti portava in caserma. Primo Reggimento Fanteria “San Giusto”. Quando arrivi il primo giorno e vedi dei cartelli con scritto “Iugoslavia” bianchi e blu come quelli dove a casa tua vedi scritto paesini come “Portile” oppure “Prignano sulla Secchia” qualche brivido lungo la schiena ti viene. E quando arrivi in caserma e senti dire “Il primo che fa casino lo mandiamo in Iugoslavia” finisce che stai zitto. Quelli che oggi dicono che loro non hanno pensato “E’ meglio che sto zitto” neanche per un attimo, erano quelli che non respiravano neanche per paura di finire oltre la dogana di Fernetti. Finì che ci andammo a sparare, in iugoslavia. Un’esercitazione al poligono dove sparavamo e tiravamo bombe a mano, perché ogni tanto bisogna pur distrarsi con un sano divertimento virile, finì per portarci esattamente sul confine e alcuni di noi che erano andati in ricognizione il giorno precedente a piantonare la zona si trovarono accanto ad un villaggio dove in agosto c’era una festa popolare e finirono per andare a bere qualcosa con le ragazze del posto. Dopo il periodo al Centro Addestramento Reclute ci fecero giurare (quelli che dicono di aver detto cose diverse da “Lo giuro” vanno inscritti nella categoria dei mentitori patologici, gente che ha una vita talmente noiosa che è costretta a inventarsi balle su queste cose qui) e dopo qualche giorno fui mandato a Montorio Veronese, 14° Reggimento Autieri di non so che cazzo, Caserma DUCA. Una roba enorme di 8 km di perimetro con 14000 (quattordicimila, porco mondo) persone. Dopo 6 giorni chiamarono il mio nome a parte in adunata e venni trasferito ad una caserma che non conoscevo per niente. In tanti nei giorni precedenti erano stati trasferiti in parecchi posti, in tanti erano stati trasferiti a Padova ma tutti in due caserme chiamate “Salomone” dove si diceva che si stava benissimo e in una chiamata “Pierobon”, dove si diceva che “facevi i botti” (che significa che ti saresti fatto il culo come una capanna) perché era una caserma operativa. Sul mio foglio di via c’era scritta una roba che non ricordo. Ricordo solo che non si capiva dove fosse e quando lo chiedevo nessuno me lo sapeva dire, neanche tra gli “anziani”. In molti iniziarono a dire “E’ la Pierobon” e visto che basta che uno dica una stronzata convinto che tutti gli vanno dietro, in breve tempo quella sembrò a tutti (me compreso) l’opzione decisamente più probabile. Andai a Padova con una certa dose di disperazione. Alla “Duca” mi ero portato la chitarra acustica dietro, convinto che sarei stato sempre lì. Ora mi toccava partire e arrivare da “rospo” in una caserma operativa con una chitarra in mano. L’ideale per venire preso di mira subito. Partii, comunque. Quando arrivai alla Pierobon il tipo che c’era in porta centrale mi disse “Guarda che non è mica qui, che devi venire. Devi andare alla Caserma ROMAGNOLI. E’ 300 metri più avanti, sulla sinistra” (Imparai presto che a Padova c’erano più caserme che bar, a momenti. Arrivai a questa “Romagnoli” carico di speranze e incertezze. Intanto la Pierobon era schivata, ma chissà cosa mi toccava, pensavo. Entrai in porta centrale con gli zaini e la chitarra nella custodia. Mi fecero aspettare in porta centrale dove stava montando la guardia e il capoposto era un sergente maggiore con i riccioli biondi. Avevano tutti mimetiche sporchissime e il tipo mi ricordava vagamente MASH (la serie televisiva non il film. Non chiedetemi perché ma questo particolare mi sembra degno di nota). Mentre aspettavo in rigoroso silenzio il capoposto vide che ero piuttosto ingessato e quindi mi disse di sedermi e rilassarmi, poi mi prese la chitarra e disse “Questa qui è requisita”. Ora, io non so se avete presente quando mi dicono che mi prendono la chitarra e chissà cosa le succede e che io magari me la ritrovo in due pezzi. Il mio sguardo si fece serio, non dissi niente ma stavo all’erta. Poi il sergente tirò fuori lo strumento dalla custodia e abbozzò due o tre accordi. A quel punto il corpo di guardia si elettrizzò per le mirabolanti imprese chitarristiche del ricciolone, commentando come solo in una caserma si può dire. Dopo quei tre o quattro accordi il sergente mi guardò e mi disse “Ma la sai suonare?”. Io risposi di sì, un poco intimidito. Lui mi disse “Di Neil Young sai qualcosa?”. Risposi di nuovo di sì e questa volta feci partire un sorriso decisamente sollevato e complice. A quel punto il biondo fece tacere l’intero corpo di guardia e poi disse “Suonami un pezzo di Neil Young, sentiamo.”. Io chiusi gli occhi e suonai seduta stante e senza pensarci due volte “The needle & the damage done”. Ora, non per fare il figo, ma io la faccio dannatamente bene o almeno la facevo dannatamente bene nell’inverno del 1993. Ricordo che durante quell’estemporanea esecuzione non volò una mosca e alla fine partì addirittura l’applauso. Il sergente ci rimase di sasso e cominciò a richiedere un pezzo di Dylan, poi arrivò quello che chiedeva l’immancabile “Wish you were here” dei Floyd, poi si passò a Vasco Rossi (Conoscere canzoni di Vasco Rossi in situazione di aggregazione forzata aiuta tantissimo a ottenere protezione, se avete in mente di commettere un crimine e avete paura di venire beccati e finire in galera consiglio di metterne sotto almeno cinque o sei) e poi tutto quel che capitava. Fortuna che io ad orecchio giro abbastanza bene. Restai fino al giorno prima del congedo (che ritirai a Montorio Veronese il 6 agosto 1994, 49 anni esatti dopo Hiroshima) alla Caserma Romagnoli, dove venivo spesso scelto per fare i picchetti d’onore all’esterno perché prendevano i più alti, ché “bisogna far vedere che i soldati sono tutti alti che altezza è mezza bellezza” (Questa la diceva un tenente che fuori dall’esercito non avrebbe trovato lavoro neanche come “spugnetta per francobolli”). Il primo di questi picchetti lo feci il giorno 4 Novembre, quando quel figlio di buona donna del Capitano Volpe (Salve Capitano, se sei ancora vivo, spero che tu abbia male ad un ginocchio per 10 minuti al giorno e ti venga in mente il mio nome) mi revocò una licenza perché ero alto e mi mandò a fare un picchetto d’onore a Villa Pace, esattamente dove il 4 Novembre di 75 anni prima era stato firmato l’armistizio della prima guerra mondiale.

(Ringrazio ogni singolo soldato dell’esercito per farsi uccidere al posto mio per ogni controversa geopolitica che coinvolge questo paese. Con quello che costate, soprattutto dopo tutte le ruberie e sprechi e inettitudini viste in un anno di militare, mi sento di poter dire che con un “grazie” siamo pari. Sabato 10 Novembre 2012 alle 15:30 suono a Fontana di Rubiera per 30 minuti, facendo soltanto pezzi di Neil Young, per festeggiarne il compleanno. Alla sera sono vicinissimo alla stazione dei treni di San Felice sul Panaro, in quel gran posto chiamato IL PASTEGGIO A LIVELLO, che con il mio servizio militare non c’entra nulla, ma ci terrei molto che veniste.)

“Se non hai capito chi è il pollo, il pollo sei tu” – Crowdfunding, Kickstarting e quelle robe lì.

Premessa: Non ho niente contro la modernità, le idee nuove, i cambiamenti in un sistema. Mi trovo pienamente d’accordo con chi dice che “Le tradizioni sono soltanto innovazioni riuscite molto bene”. Le prese di posizione ideologiche le odio. Ma odio anche le prese per il culo e ultimamente mi è venuta in mente la battuta del pollo quando ho sentito questa parola: CROWDFUNDING.

“Crowdche?” qualcuno si sarà chiesto. Ecco, già qui…Il Crowdfunding è il nome che gli americani hanno dato ad una pratica vecchia come il mondo. Una volta si chiamava COLLETTA. Solo che, come dice Guccini nell’introduzione di “Statale 17” nel live con i Nomadi (andatevela a sentire, si ride) “Gli americani ci fregano con la lingua”.

In pratica, applicato in campo musicale, gli artisti o sedicenti tali manifestano l’intenzione di partire con un progetto (un album, un video, le magliette della band, qualsiasi cosa) e chiedono, tramite agenzia (particolare non di poco conto) un finanziamento ai loro fan o a chiunque passi di lì. In cambio offrono cose come chiacchierate via skype, copie dei dischi autografate con dedica, accessi al backstage dei concerti e agli studi di registrazione, cene con la band, crediti sui dischi, eccetera.

Ecco, la cosa che mi inquieta è che ci siano delle agenzie che fanno questa cosa qui. In pratica invece di chiedere i soldi tu, loro ti fanno da cassa di risonanza e per questo servizio si tengono il 15% di quanto corrisposto dai fan.
Se il progetto non va a buon fine non si fa niente e si ridanno i soldi indietro. Il tutto in nome della partecipazione diretta del fan e del legame rafforzato con l’artista, ça va sans dire.

Ora, non è che ci sia niente di male a chiedere dei soldi, anche se i nostri genitori hanno sempre sperato che non fossimo costretti a fare l’elemosina per campare e anche noi speriamo lo stesso per i nostri figli.
I punti che mi lasciano perplesso sono altri e li vado ad elencare.

1. Non mi piace che chi ti chiede dei soldi faccia passare la cosa come un favore che lui ti fa, “per farti partecipare”. Se vuoi partecipare alle spese di un disco, lo compri. Che infatti è quello che fai anche con il “crowdfunding”.
2. Non conosco NESSUNA ditta in nessun rapporto meramente commerciale che arrivi ad avere la faccia tosta di ricompensare i propri clienti più affezionati riducendo loro i termini di pagamento. Sia che vendiate piastrelle, profilati in alluminio, piante, dischi o quello che vi pare…ma ve lo immaginate un fornitore dire ad un cliente “Guarda, solo perché sei tu ti faccio un trattamento speciale. Ti ricordi che pagavi sempre a consegna ricevimento merce? Bene, da oggi puoi pagare anticipato. Ma se fallisco ti ridò i soldi, non preoccuparti”. Se qualsiasi cliente si sente fare una proposta del genere penso che cambierà fornitore in meno di dieci secondi. Il fatto di “sentirsi partecipe” mi sembra la classica pacca sulla spalla che il venditore ti dà mentre ti sta abbindolando.
3. I vantaggi per i fan: accessi al backstage, chiacchierate esclusive via skype, crediti sui dischi, copie autografate, persino un indumento del cantante. Tralasciando il feticismo malato (viene in mente quello che frugava nella spazzatura di Bob Dylan e da lì a Mark Chapman il passo non mi sembra così lungo), ho riflettuto su una cosa. Ma tutte queste cose, si pagano? Un gruppo che si definisce “indipendente” (ecco perché dico che oggi questa parola si usa a sproposito e sarebbe meglio dire “povero”) certe cose non dovrebbe concederle gratis, secondo la propria coscienza?
I crediti sui dischi: ci mancherebbe altro che non mi ringrazi, ti sto pagando in anticipo e magari farai un disco che mi fa schifo.
Chiacchierate esclusive via Skype: In pratica da domani se vuoi parlare con i (riempite voi lo spazio) lo fai a pagamento, come negli 144 e nei telefoni erotici. Se paghi allora parli con me, altrimenti ciccia. “Finito soldi, finito amore”.
Accessi al backstage: A parte che i backstage del circuito indipendente sono difficili da sfondare come un panetto di burro per una katana, capisco che magari vuoi esser lasciato solo oppure hai voglia di fare due chiacchiere dopo due minuti che sono lì. Deve essere proprio il soldo a regolare questa pratica?
Autografi sui dischi: In pratica un poco come se dopo un concerto comprate il cd e alla richiesta “Ciao, mi puoi fare la dedica?” vi rispondono “Hai cacciato la grana?”.

Un’altra cosa che stupisce è l’entità dei finanziamenti, roba che il microcredito in India sembra un mutuo per la casa, a confronto.
Infatti non si fa che ripetere da tempo che oggi fare un disco è alla portata di tutti visto la riduzione dei costi di registrazione e la tecnologia in ogni casa e blah blah blah. Ed è vero, badate bene. Non a caso oggi tutti stampiamo cd, cosa che una volta era impensabile. Così capita di vedere gruppi di 4,5,6 persone che chiedono finanziamenti di 500-1000 euro. Se siete un quintetto e chiedete 1000 euro, per dire… Possibile che non abbiate 200 euro a testa da spendere in un progetto al quale sembrate credere così tanto?
Ve lo dice uno che ha investito soldi da solo nel primo album in italiano e da allora pubblica un disco all’anno riutilizzando i soldi della propria attività concertistica. Che quando gli chiedono un autografo (succede, incredibile vero?) è contento come una pasqua e lo fa con gioia, senza chiedere soldi a nessuno. Che va a cena con chi vuole, non con chi anticipa i soldi per lui. Che le chiacchierate via skype le fa con chi gli sta simpatico. E’ così difficile?

Ma ammettiamo che questi soldi effettivamente non ci siano. Che i vari gruppi coinvolti siano indigenti e non riescano a superare la soglia della povertà.
Come ho già detto non c’è niente di male a chiedere dei soldi se ci si trova con le pezze al culo.
Ma chiamatela “elemosina”, la stessa che si chiede ai bordi della strada, non fatelo passare per un favore. La zingara davanti al supermercato non lo fa, mal che vada si mette un cartello con scritto “Devo mangiare”. E’ più onesto.

Quanto al giusto nome per chi fa la cresta del 15% su chi chiede l’elemosina trovatelo voi, io di beccarmi una querela non ne ho voglia.

Forse una cosa buona, questa iniziativa però ce l’ha. Far si che non venga più rivolta la noiosissima domanda “Ma tu campi di musica o hai anche un altro lavoro?”. In questo potrebbe essere un’opera meritoria. Se volete un consiglio, però, qualora abbiate aderito a uno di questi progetti e sentire odore di pollo alla diavola, controllate di non avere uno spiedo infilato da qualche parte.