When you’re strange*

Io l’inglese lo parlo bene, oggi. Però non l’ho mai studiato a scuola. Alle medie mi diedero francese. Ma io un po’ l’inglese già lo sapevo, a dieci anni. Non avevo genitori o parenti britannici. Semplicemente avevo dei dischi e un libro. Il mio volume di riferimento è infatti un “Jim Morrison/The Doors – Testi con traduzione a fronte” dell’editrice Arcana, dove in copertina c’è una foto di Jim Morrison con la barba. Nei dischi che avevo io era completamente diverso, il Signor Morrison, quindi mi faceva strano che effettivamente i testi fossero giusti. Imparai con il tempo che le trasformazioni camaleontiche sono possibilissime, soprattutto se al posto dell’acqua usi il Jim Beam anche per lavarti. Infatti, tutti quelli che cominciano uno stile di vita sregolato in preda ai fumi dell’alcool credendosi Jim Morrison oggi dovrebbero capire che tempo due anni si ritroveranno ad essere nient’altro che dei ciccioni barbuti e con la raucedine perenne. Altri due anni e usciranno dalla porta di casa varcando la soglia con entrambi i piedi prima che con la testa. Comunque… ascoltando le canzoni dei Doors a buco, feci la conoscenza della lingua inglese e della pronuncia rispetto alla scrittura. Imparai anche parole piuttosto complicate, perché quando il tuo gruppo preferito ha testi che dicono che “Voglio sentire l’urlo della farfalla” o robe come “E quando tutto si sgretola in rovina noi possiamo frustare gli occhi ai cavalli per lasciarli dormire e piangere”, beh, qualche domanda te la fai. E non è mica tutto, badate bene. Imparai che le traduzioni dei libri musicali erano piuttosto allegre e libere, visto che a volte vedevo che nella colonna sinistra c’erano le stesse due parole della riga sopra e invece a destra cambiavano. Quindi iniziai a cercare il reale significato dei termini andando a far corrispondere alla parola in inglese quella in italiano che vi veniva accoppiata più spesso. Una roba da settimana enigmistica, che infatti tiene sveglia la mente in tutte le spiagge italiane e vanta innumerevoli tentativi di cover band, pardon, d’imitazione. Finì che lessi avidamente pure le poesie di Morrison, almeno quelle che venivano citate come tali in fondo al libro in oggetto e che, se le rileggo oggi, provocano in me a volte un’ilarità irrefrenabile per quelli che considero probabilmente niente più che deliri di un ubriacone. Comunque servirono. Servirono tantissimo ad imparare la lingua. A quello seguirono altri libri, altri testi di canzoni, altri test per capire se avevo effettivamente compreso qualcosa di quella lingua che oggi padroneggio in maniera decisamente agile rispetto alla maggioranza dei miei coetanei. Son sempre stato convinto che se c’è una passione dietro quello che fai, la cosa che fai, in fondo, non può venire male. Magari non ti garantisce guadagni economici, non ti dà riconoscimenti, però… come dire… funziona. Per me Jim Morrison e i Doors non rappresentano dunque l’epoca del flower power, del sogno americano, delle rivolte alla fine degli anni ’60, della psichedelia, della poesia applicata al rock, degli anni in cui ti autodistruggi con qualsiasi cosa che offra il creato, della trasgressione a buon mercato per adolescenti di provincia. Morrison (e il suo traduttore su quel libro, che non conosco ma che ringrazio qui per la prima volta in vita mia pubblicamente) è stato semplicemente il mio primo insegnante di inglese. Molti miei compagni hanno avuto una donna sui 45 o una vecchia bacucca che gli stracciava le palle con “The pen is on the table” e con dialoghi dove Jodie andava a casa di Susan e le chiedeva continuamente cosa fosse questo o quello. Io avevo il Re Lucertola, che mi parlava di abbracciare il buio quando la musica finiva, che mi diceva di nuotare sulla luna, di correre con lui senza toccare terra e vedere il sole, che ad est avremmo incontrato lo zar. Poteva andar peggio, no?

* l’altro giorno “When you’re strange”, documentario di Tom di Cillo sui Doors. La voce narrante in Italia è quella di Morgan, ma non si può avere tutto.

Sgoccioli

I missaggi de “I sonnambuli” sono quasi cotti. Sabato mattina dovrebbe esserci l’ufficialità del passaggio alla fase successiva (mastering). Ce la faremo ad avere il disco per il 26 di Luglio? Oggi, un passaggio veloce allo studio Bunker ha rivelato che Andrea Rovacchi stava missando “Il turista”, che sarà la canzone più lunga di tutto il disco (7 minuti e qualcosa) e probabilmente anche la più difficile da missare, visto l’enorme quantitativo di corde e voci presenti. Ballatona dal tocco chitarristico acustico zeppeliniano con parte di basso decisamente reggae nella quale ho anche suonato con delle spazzole il sedile della batteria. Si, proprio il sedile. Suonava bene, che volete che vi dica? Comunque, in quel pezzo lì la batteria la abbiamo poi suonata in tre. Io, Rovacchi e Cesare Anceschi (detto Cico), batterista titolare del disco. Son cose che succedono. Inoltre Fabio Debbi e Davide Cocconcelli passavano di lì per caso e quindi li ho coinvolti in un coro in alcuni punti dove cerchiamo di ottenere un suono in stile “Crosby,Stills & Nash” e ovviamente finiamo con il sembrare “Totò, Peppino e la malafemmina”. Non male. Intanto, Davide Tosches (pregevolissimo cantautore torinese autore di un gran bel disco chiamato “Dove l’erba è alta”) sta approntando qualche piccolo ritocco alla grafica del libretto e della copertina, opera della mai troppo preziosa Cristina Malagoli (mia moglie, sì).

Ah, dimenticavo, ieri ero sul Resto del Carlino

Ieri è uscita un’intervista sul resto del Carlino a cura di Federico Ferrari, nella pagina di Sassuolo. Essendo giornata di referendum ma non avendo ancora i dati non sapevano proprio cosa scrivere, d’altra parte in provincia non succede mai niente. Mia madre ha comprato il giornale e ora lo mostra alle amiche, facendo finta di avere un figlio importante. Le amiche ci credono.

Schegge di Liberazione alla Salumeria del Rock

Stasera sono onorato di accompagnare quei folli di Barabba (che stamattina sono finiti pure sul giornale, con la g minuscola) nel reading di Schegge di Liberazione (un ebook sulla Resistenza, che quest’anno è diventato anche un libro di carta, come si faceva una volta). Suonerò accompagnandoli e strimpellerò qualche traditional. Siamo alla Salumeria del Rock di Arceto. Dalle 20:30.

Concerto in Pomposa.

Al momento l’unica alternativa prevista al concerto all’aperto in Piazza Pomposa è l’annullamento. Stiamo dunque legati alle condizioni meteo sperando nel miracolo. Vi terrò aggiornati nelle prossime ore, spero.

Missaggi

Oggi alle ore 13:42 Andrea Rovacchi stava missando il brano “L’arrivoluzione” del mio nuovo album “I sonnambuli” , mentre Gabriele Riccioni stava cucinando delle penne all’arrabbiata in una cucina da campo messa sopra un palanchino, stile campeggio. Il suono del mix era eccellente. L’odore del sugo anche.